Un borgo sommerso, una diga, una storia millenaria che l’acqua non è riuscita a cancellare.

Agaro, a oltre 1.500 metri di quota, fu fino al 1938 il più piccolo e il più alto comune della provincia di Novara, collocato in una valle pensile, racchiuso tra i ripidi versanti della dorsale che scende dalla Punta d’Arbola e che separa la Valle Antigorio e la Val Formazza dalla vallata solcata dal torrente Devero.

Territori da sempre di confine, di passaggio, che ha visto le popolazioni andare al di qua o al di là della montagna sin dalla notte dei tempi. Zone che ancora oggi sono ricche dei segni lasciati da chi è passato, con incisioni rupestri, dolmen, menhir e resti di costruzioni megalitiche.

Oggi quei territori, che i Walser provenienti dalla Svizzera colonizzarono nel XIII secolo, sono in gran parte sommersi dalla diga costruita proprio nel 1938 e ciò che rimane fa capire che Agaro era il principale centro del sistema di alpeggi e stazioni invernali che dai brevi ripiani sulle alte bastionate sovrastanti il corso del Devero, saliva fino agli alti pascoli di Pojala a 2.149 d’altezza.

Prima di essere ricoperto dalle acque del bacino artificiale, Agaro era in una splendida piana alluvionale lunga più di 2 Km e quasi senza pendenza, in parte, palustre e torbosa.

A Margone, piccolo centro collocato nella parte inferiore della piana, c’era uno specchio d’acqua che solo nel 1890 venne prosciugato con un canale e ridotto a prateria, ma dimostra che vicino ad Agaro anticamente era presente un lago di conca in roccia viva, colmato a poco a poco dalle alluvioni.

Agaro, in lingua walser “Agher”, rimase così per quasi 700 anni una piccola enclave, in territorio antigoriano, con propri statuti e una certa autonomia che durò fino al 1928, anno in cui venne annesso al comune di Premia.

Si racconta che nei secoli per cinque volte il villaggio di Agaro fu abbattuto dalle valanghe e altrettante volte ricostruito.

Tre volte parzialmente e due quasi del tutto, venendo poi sempre ricostruito nello stesso punto, perché ritenuto il più sicuro di tutta la piana, protetto dal bosco vecchio verso Topera, che veniva usato anche come alpeggio estivo.

La zona sommersa dalle acque della diga presentava due piccoli nuclei abitati, che erano gli insediamenti invernali di Agaro e Margone; adagiati nel fondovalle, rimanevano in parte protetti dalle valanghe per la presenza di alcuni boschi situati sui versanti montuosi che li sovrastavano.

Gli altri nuclei invernali, essendo collocati a una quota inferiore rispetto al muro di sbarramento della diga, non furono sommersi dalle acque del lago artificiale.

Sono Cologno, un pugno di case su un dosso erboso quasi all’ingresso della conca dell’Alpe Devero, che fu un insediamento invernale degli agaresi, e gli altri due piccoli insediamenti di Costa e Pioda Calva.

C’è anche Ausone, su un terrazzo soleggiato a 1.463 metri di quota, che fu per secoli un abitato autonomo rispetto ad Agaro, retto da propri statuti e con confini rigorosamente definiti e solo dal XIX secolo accolse gli agaresi.

Per quasi sette secoli gli abitanti di questo microscopico comune, lottarono strenuamente per la loro autonomia e sopravvivenza, finché nel 1938, si dovettero arrendere ai “superiori interessi della nazione”: in quella data l’abitato fu sommerso sotto venti milioni di metri cubi del bacino idroelettrico, voluto dall’Enel, deciso senza neppure consultarli.

Ricevuto un indennizzo minimo, alcuni si dispersero a malavoglia per la valle Antigorio. Altri rimasero strenuamente sino all’ultimo, pare ci fossero ancora i panni stesi fuori dalle case, quando cominciarono a invasare la diga.

Gli abitanti si dispersero così, portando con loro il ricordo della loro storia e delle antiche tradizioni locali.

Il lago d’Agaro, è oggi meta di passeggiate e trekking in quota, in condizioni normali non si riesce a individuare il punto dove sorgeva il paese, ma quando la diga viene svuotata si vedono i muri delle case integri e addirittura la vecchia cappelletta sembra sia rimasta quasi intatta.