Il 14 aprile 1980, presso una clinica privata di Roma, moriva per le conseguenze di un’operazione alla gamba sinistra, Gianni Rodari, insegnante ma soprattutto uno degli scrittori per bambini più amati.

Originario di Omegna, suggestiva città del Lago d’Orta, Rodari visse un’infanzia difficile, quando, dopo la morte del padre per una broncopolmonite, la madre prese la decisione di trasferirsi a Gavirate, in provincia di Varese.

Fin dai primi anni della scuola elementare, il piccolo Gianni rimase affascinato dalle parole e da come si potessero ricombinare tra di loro, con usi e significati sempre diversi secondo la situazione.

Dopo aver terminato gli studi alle magistrali, Rodari durante la seconda guerra mondiale lavorò come supplente presso una scuola di Uboldo, per poi trascorrere un periodo come soldato presso l’ospedale milanese di Baggio.

A guerra finita, lo scrittore prima fondò il giornale per ragazzi Pioniere e poi pubblicò le sue prime due opere, Il manuale del pioniere e il romanzo fantastico La gondola fantasma, ambientato nella Venezia di Goldoni.

Ma sarà solo con Filastrocche in cielo e in terra e Cipollino, con protagonista un ragazzo dalla testa a forma di cipolla, che Rodari diventò uno scrittore di fama internazionale, tanto da essere una vera celebrità anche in Urss.

Sempre continuando a scrivere, nel 1958 iniziò a lavorare per Paese Sera e poi per la BBC, con programmi per i ragazzi.

Nel 1962 uscì Favole al telefono, che viene considerato da molti il capolavoro di Rodari.

Le storie, unite dal filo rosso del ragioniere varesino Bianchi, che pur sempre impegnato nel suo lavoro, cerca di fare in modo di essere vicino alla figlioletta, anche se solo con il telefono, rappresentano un mondo dolce e surreale dove tutto finisce sempre per il meglio.

Ma c’è anche il lato amaro di un mondo che non vuole capire i miracoli, come nella storia del semaforo blu:

“Una volta il semaforo che sta a Milano, in piazza del Duomo fece una stranezza.
Tutte le sue luci, a un tratto, si tinsero di blu’, e la gente non sapeva più come regolarsi.
“Attraversiamo o non attraversiamo? Stiamo o non stiamo?”

Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeva l’insolito segnale blu’ di un blu’ che così blu’ il cielo di Milano non era stato mai.

In attesa di capirci qualcosa gli automobilisti strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire lo scappamento e i pedoni più grassi gridavano:

“Lei non sa chi sono io!”

Gli spiritosi lanciavano frizzi:

“Il verde se lo sarà mangiato il commendatore, per farci una villetta in campagna.

Il rosso l’hanno adoperato per tingere i pesci ai Giardini.

Col giallo sapete che ci fanno? Allungano l’olio d’oliva.”

Finalmente arrivò un vigile e si mise in mezzo all’incrocio a districare il traffico. Un altro vigile cercò la cassetta dei comandi per riparare il guasto, e tolse la corrente.

Prima di spegnersi il semaforo blu’ fece in tempo a pensare:

“Poveretti! Io avevo dato il segnale di – via libera – per il cielo. Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare. Ma forse gli è mancato il coraggio”.

Negli anni successivi Rodari avrebbe scritto romanzi come La freccia azzurra, su una Befana in crisi che rischia di perdere tutto, oltre ad altre raccolte di racconti, ma alla fine del 1966 decise di lasciare per un po’ l’attività di scrittore.

Solo nel 1970 tornò a lavorare, con il saggio Grammatica della fantasia, sul bambino e sul suo modo di vedere il mondo, e i romanzi C’era due volte il barone Lamberto, ambientato sul lago d’Orta, e La torta in cielo, summa del pacifismo dell’autore.

Ma ormai la salute di Rodari era a rischio e nel 1979, dopo un viaggio in Urss, lo scrittore si fece ricoverare a Roma, dove morì pochi mesi dopo.

Di lui ci rimangono le sue case volanti, le ville misteriose, i semafori blu per il cielo e soprattutto il parco della fantasia di Omegna, dedicato alla memoria di un uomo che per tutta la vita non si dimenticò mai della magia dell’infanzia.