Verso la fine del giugno 1812 ebbe inizio la grande campagna Napoleonica in Russia, dove un esercito di 450.000 soldati effettivi che con ausiliari e personale di servizio superavano i 600.000 uomini, in soli sei mesi fu annientato sullo sfondo di un paese inospitale e distante oltre 2000 chilometri dalla Francia.

Tutto ebbe inizio nel marzo del 1812 quando Napoleone, come conseguenza della rottura del Trattato d’Alleanza franco-russo stipulato a Tilsit nel 1807, decise di dichiarare guerra allo Zar Alessandro I.

Alla base della decisione vi era una serie di motivazioni, come il rifiuto da parte di Alessandro di concedere a Napoleone la mano della sorella Anna, le divergenze sulla successione al trono di Svezia dopo re Carlo XIII e la ripresa dei commerci navali tra Russia e Inghilterra, nonostante il blocco continentale voluto da Bonaparte che, non potendo invadere l’Inghilterra, decise di prendersela con la lontana Russia.

L’inizio della spedizione vide una marea di soldati, per metà francesi e in gran parte di molte nazionalità diverse, come prussiani, italiani, polacchi e spagnoli, attraversare il 24 giugno 1812 il fiume Nieman, che tracciava il confine fra Polonia e Russia.

Iniziò allora una lunga partita fra la Grande Armée e l’esercito russo, che retrocedeva verso l’interno del Paese, costringendo i Francesi, sopraffatti dal caldo torrido, violenti temporali, paludi, carenza di viveri e diserzioni, a inseguirlo.

A ciò si sommarono gli attacchi portati da cosacchi e semplici contadini contro si era allontanato o attardato rispetto al grosso delle truppe, oltre agli scontri fra i due eserciti avversari avvenuti a Smolensk e Borodino, battaglia che vide oltre 80.000 caduti suddivisi fra le parti, ma senza un vero vincitore.

Quando arrivò a Mosca il 13 settembre, Napoleone aveva solo 100.000 uomini, dopo averne perso quasi mezzo milione, ma trovò però la città abbandonata da tutti i suoi abitanti, con lo Zar che era fuggito a San Pietroburgo, pronto a ripartire verso Est.

In giro a Mosca c’erano solo sbandati, vagabondi, ubriaconi e soprattutto ladroni e assassini liberati dalle galere, intenti a saccheggiare i magnifici palazzi e i negozi incustoditi.

Deluso, Napoleone si trasferì nel Cremlino, ma nella notte fra il 14 e 15 settembre 1812 fu svegliato dal suo attendente per informarlo che Mosca, le cui case erano in gran parte in legno, era in preda ad un incendio alimentato da un forte vento e praticamente inestinguibile perché i Russi avevano tagliato i manicotti delle pompe antincendio.

In tre giorni furono rasi al suolo tre quarti della città, con l’eccezione del Cremlino e di qualche quartiere risparmiato dal vento.

Napoleone si trovò cosi a due mesi di marcia da Parigi e nel bel mezzo di una terra ostile, dove già s’iniziava ad avvertire il freddo pungente dell’inverno.

Indeciso sul da farsi, l’imperatore attese invano che lo Zar gli presentasse un trattato di pace, ma Alessandro, ormai convinto che il suo avversario fosse a corto di risorse, non ne volle sapere.

Quando il 19 ottobre diede finalmente l’ordine di rimpatriare, Napoleone lo fece senza preoccuparsi di equipaggiare le sue truppe contro Il generale inverno, come lo chiamano i Russi.

Cosi i più ripartirono da Mosca carichi di vesti di seta, gioielli e piatti d’argento, ma senza pellicce e coperte adeguate, per un viaggio che si sarebbe ben presto trasformato in un’Odissea, con temperature scese sotto zero per ben ventidue giorni consecutivi, fino ad arrivare a meno trenta gradi.

Gli uomini cadevano morti assiderati mentre marciavano ed erano al centro dei continui attacchi a sorpresa dei Russi, molto più a loro agio in quel clima estremo.

Quando il 18 dicembre Napoleone si presentò alle Tuileries, dopo aver congedato i 10.000 soldati rimastigli, nessuno lo riconobbe, facendogli capire che la sua parabola discendente era ormai iniziata.