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Una musica, un ballo che porta con sé il fascino dell’Argentina…

Il tango fece la sua comparsa nei sobborghi di Buenos Aires intorno al 1880, quando gli immigrati italiani, spagnoli, tedeschi, russi, che abitavano fianco a fianco nei grandi conventillos erano uniti da una nuova serie di note e passi.

Il tango fu una vera rivoluzione nel ballo di coppia e con valzer, mazurca, polka e gli altri balli in voga ha in comune solo la presa fra i due ballerini, ma il resto segue una logica totalmente innovativa.

Durante la settimana, dopo il lavoro, gli uomini provano e riprovano fra loro i passi mentre le donne fanno la stessa cosa, per prepararsi al ballo della domenica.

Il tango è un ballo totalmente libero, privo di coreografie predefinite, con una combinazione di passi che si utilizza per imparare a ballare, mentre le figure classiche sono assemblate, sospese, frammentate e ricombinate in un’unica figura che non si ripete mai.

Le melodie del tango sono ricche di differenti coloriture musicali, gli stili interpretativi e gli impasti strumentali diversi, che conducono in una condizione emozionale nuova, frutto di un portamento e uno stile che non sono mai gli stessi.

Più che il ballo dell’Argentina, il tango è il ballo delle città di Buenos Aires e Montevideo, due metropoli che si affacciano da sponde opposte all’estuario del grande fiume e che sono molto più vicine fra loro per storia, composizione etnica, cultura di quanto non lo siano rispetto al resto della nazione .

A partire dal 1900, quando il tango cominciò a entrare nei teatri e nei caffè, s’impone il trio bandoneòn-violino-pianoforte poi sul palco arrivò il sexteto tipico, con due bandoneònes, due violini, pianoforte e contrabbasso.

Cominciarono così a dedicarsi al tango strumentisti e direttori sempre più colti musicalmente, quasi sempre italiani.

Il primo fu Julio De Caro (1899-1989), assieme al fratello Francisco, cacciato di casa dal padre, originario di Milano e insegnante di conservatorio, dopo che i due decisero suonare tanghi nell’orchestra di Arolas.

I due fratelli portarono nel tango una straordinaria inventiva, che si esprime in contrasti dinamici, fantasie contrappuntistiche, brillanti trovate esecutive: glissandi, effetto chicharra, cioè sfregando le corde del violino dietro il ponticello, effetto lija o carta vetrata, fischi e risate.

Poi Francisco Canaro (1880-1964) introdusse l’uso dell’estibillista, un cantante che interviene solo nel ritornello, preferendo un modello di esecuzione che non era né semplicemente strumentale, né pienamente vocale.

Ideò anche l’effetto canyengue, con il contrabbassista Leopoldo Thompson, ottenuto battendo con l’archetto o con la mano sulle corde dello strumento.

Juan D’Arienzo (1900-1976) sviluppò un ritmo molto ballabile, ossessivamente metronomico, alternando pause a strappate simili a colpi di frusta o di zappa e Carlos Di Sarli (1900-1960) valorizzò gli archi, usando fraseggi melodici che vedevano ritmi articolati su contrasti legato-staccato.

Infine Osvaldo Pugliese (1905-1995) si distinse per ardite tessiture armoniche e un’accentuata poliritmìa, cioè una particolare forma di canyengue da lui stesso chiamata la yumba.