Scacchi

Tutto il fascino del giocare su un mondo diviso in quadrati bianchi e neri…

Il gioco degli scacchi è amatissimo da sempre, uomini e donne si sfidano muovendo i sedici pezzi che si hanno a disposizione su una scacchiera bianca e nera, per catturare il pezzo più importante, il re, che però è, anche uno dei pezzi più deboli perché, sebbene possa muoversi in tutte le direzioni, può farlo soltanto con una mossa alla volta. 

La nascita degli scacchi è avvenuta nel VI secolo in India, poi si diffusero in Occidente a partire dall’anno Mille, attraverso la mediazione della cultura persiana.

In questo passaggio da una terra all’altra del globo terrestre avvennero alcune trasformazioni del gioco, con non solo  modifiche alle regole del gioco o al modo di muoversi degli elementi essenziali ma anche alla denominazione dei pezzi.

Re, cavallo e pedoni sopravvissero al passaggio dalla cultura orientale a quella occidentale mentre altri pezzi del gioco subirono cambiamenti sostanziali, come l’alfiere, il soldato che recava il vessillo delle milizie, che in passato non era un uomo ma un animale, più precisamente un elefante che soltanto nel corso dei secoli si è trasformato assumendo fattezze umane.

La torre, che si muove orizzontalmente e verticalmente lungo le caselle della scacchiera facendo rapide incursioni, era in passato un cammello, mentre la regina fu introdotta intorno al 1500 ed ha preso il posto del visir, passando dalla scarsa mobilità iniziale a una possibilità illimitata di spostamento, divenendo l’elemento più forte del gioco.

Durante il Medioevo, intorno all’anno Mille, in Europa e in Italia il gioco degli scacchi erano così noto che, a differenza di altri passatempi come le carte e i dadi, non venne avversato da preti e predicatori che dettavano le linee morali del buon cristiano.

Il gioco, ritenuto quasi un’arte nobile, si diffuse tra le classi colte, divenendo segno di riconoscimento per l’aristocrazia, come dimostra un mosaico presente nel presbiterio della chiesa di San Savino a Piacenza in cui si ritrae un giocatore seduto su una sedia mentre muove un pezzo sulla scacchiera bianca e nera, intento a spiegare le regole del gioco a un’altra persona, seduta di fronte a lui, di cui è visibile il braccio destro.

In letteratura c’è un riferimento agli scacchi in un manoscritto di Franco Sacchetti, il Trecentonovelle, scritto alla fine del XIV secolo in cui si descrive la passione di un sacerdote per il gioco.

Ma fu un domenicano, Jacopo da Cessole, intorno al 1300 a scrivere un’opera didattico-moraleggiante, il Libellus de moribus hominum et officiis nobilium ac populum super ludo scacco rum, utilizzando l’allegoria del gioco degli scacchi.

La vita è una scacchiera su cui si muovono i vari protagonisti della società, ciascuno con i propri vizi e le proprie virtù diceva Jacopo da Cessole, e questo vale per i nobili (il re e la regina), per l’esercito (i cavalli), per l’attività giudiziaria e amministrativa (gli alfieri e le torri) e per il popolo (i pedoni).

Infine una curiosità, la locuzione scacco matto, che è usata per indicare l’impossibilità del re sotto assedio di muoversi su una casella vuota, proviene dalle parole arabe Shāh Māt che possono essere tradotte come Il re è morto, alludendo al principio degli scacchi che consiste nell’immobilizzazione del re, il pezzo senza il quale non è più possibile continuare il gioco.