
Un critico che faceva ridere di tutto, dalla letteratura al cinema…
Terzo di cinque figli. Beniamino Placido nacque a Rionero in Vulture, nel Potentino, il 1 febbraio 1929 da Maria Nucci, figlia di un maestro elementare, e Michele, scomparso nel 1937 in Eritrea ad Asmara, durante la guerra etiopica.
Negli anni Cinquanta la madre decise di trasferire la famiglia a Roma in una casa nel quartiere Trieste. Lì Placido s’iscrisse all’Università La Sapienza e, grazie all’insegnamento del grande anglista Mario Praz, s’interessò alla letteratura angloamericana, oltre ad essere un punto di riferimento e un amico fidato per tanti studenti meridionali che approdavano nella capitale.
A ventinove anni vinse un concorso come funzionario presso la Camera dei deputati, lavorò nella direzione dello schedario elettronico con Antonio Maccanico e poi presso la commissione agricoltura.
Nel 1973, approfittando di una legge che consentiva il pensionamento anticipato, Placido lasciò la Camera dei deputati e insegnò per qualche anno all’Università La Sapienza di Roma, entrando in contatto con Nanni e Franco Moretti, Federica Bini, Alberto Abruzzese e Alessandro Portelli.
Beniamino negli anni Settanta iniziò a collaborare con la casa editrice Samonà e Savelli e con l’Associazione antropologia e mondo antico, oltre che con la rivista Ombre rosse, diretta da Goffredo Fofi.
Nel 1975 dette alle stampe per Einaudi Le due schiavitù, per un’analisi dell’immaginazione americana: un saggio su Benito Cereno di Herman Melville e su La capanna dello zio Tom, il romanzo antischiavista di Harriet Beecher Stowe, ma nel testo non mancavano riferimenti anche a I promessi sposi e Renzo Tramaglino, Karl Marx e molti pettegolezzi letterari e storici.
Il 20 gennaio del 1976 iniziò la sua collaborazione con Repubblica, pochi giorni dopo il debutto in edicola del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, con Orazio Gavioli capo degli spettacoli ed Enzo Golino capo della cultura.
Una decina di anni dopo Scalfari propose a Placido di curare la critica televisiva, una mansione fino a quel momento considerata deleteria per un intellettuale, e nacque così la rubrica di critica televisiva A parer mio, con 1500 articoli fra il 1985 e il 1994.
Nel 1986, a proposito di un servizio del Tg1 sulla mafia in cui si usava un linguaggio politico del tutto incomprensibile, lo studioso creò il mito della celebre casalinga di Voghera, simbolo dei buoni valori letterari italiani.
Dopo otto anni Placido chiese di tornare alle pagine della cultura e scrisse un saggio, La televisione con il cagnolino (1993) dove coinvolgeva il grande scrittore Anton Čechov nell’analisi del mezzo televisivo.
A partire lo studioso dal 1997 curò la sezione Cinema in tv sulle pagine del settimanale Il Venerdì di Repubblica, per poi passare, dal 1998 al 2004, alla rubrica di critica Belvedere sempre per Il Venerdì.
La sua passione per la pagina stampata lo portò anche dal 1993 al 1997 a essere responsabile culturale del Salone del libro di Torino.
Molto nota è anche la sua collaborazione con la Rai, che iniziò con la rubrica di cinema 16 e 35 (1978), e con i collegamenti con il festival del Cinema di Venezia prima con Tommaso Chiaretti e Irene Bignardi, poi con Patrizia Carrano e Isabella Rossellini.
Seguirono Serata Garibaldi (1982), Serata Marx (1983), Serata Mussolini (1983), Serata Orwell (1984), Serata Manzoni (1985) e Serata Freud (1986).
Una grave malattia negli ultimi anni costrinse Placido a vivere lontano dagli amici, cui tanto teneva, ma continuò a scrivere, malgrado le difficoltà e, accudito dalla figlia Barbara, mori a Cambridge, nel cuore della vecchia Inghilterra, il 6 gennaio 2010.