Un tuffo disastroso nel Lago Maggiore, il 4 marzo 1921, concluse la storia di un mezzo eccezionale…
Una delle tante storie del lago, un sogno imprenditoriale, forse qualcosa in più da un ingegnere che sapeva vedere oltre i tempi, in un’epoca contraddistinta da un’entusiastica immaginazione, con le continue scoperte e innovazioni tecnologiche che lasciavano immaginare in un futuro radioso e senza problemi.
Il 20 gennaio 1921 dall’hangar e l’idroscalo appositamente costruito dalla Società Caproni sul lago Maggiore a Sant’Anna di Sesto Calende, faceva la sua prima comparsa un gigante alato, che sembrava uscito direttamente da un romanzo di Jules Verne.
Si concretizzava così il progetto nato dalle esigenze dell’Ing. Gianni Caproni, al tempo poco più che trentenne, di innovare e riconvertire la propria, ormai storica azienda di aerei, nata solo da una decina d’anni, ma che già era tra le più importanti del settore nel mondo. Un progetto nato nel 1913 e che era rimasto in sospeso per il primo conflitto mondiale. La Caproni, era la prima industria italiana del volo, basata a Vizzola Ticino con i campi de La Malpensa, il vicino Lago Maggiore per gli idrovolanti e Milano-Taliedo. Nata come impresa civile per il volo, con lo scoppio della prima guerra mondiale, dai suoi capannoni era uscita tutta una serie di aerei che ebbero un ruolo importante nel conflitto.
Caproni riteneva che con il progresso avuto dagli aerei in breve tempo, per i voli civili e di linea, non fosse sufficiente riadattare i velivoli impiegati in guerra: pensava invece a una nuova generazione di aeroplani, con una maggiore autonomia e capacità di carico aumentata, in grado di ridurre i costi per passeggero.
Il progetto di un idrovolante plurimotore, di grandi dimensioni per il trasporto a lungo raggio di un gran numero di passeggeri, venne però giudicato all’epoca piuttosto stravagante. Per Caproni invece avrebbe consentito di collegare zone remote in modo più rapido di quanto sarebbe stato permesso dalle vie di terra, con un costo più basso di quello che sarebbe stato necessario per migliorare le vie di comunicazione convenzionali. Caproni sosteneva inoltre che il suo grande idrovolante avrebbe potuto essere impiegato su qualsiasi rotta, sia all’interno del territorio di una nazione sia a livello internazionale, con la possibilità di sfruttarlo in paesi estesi, ma dotati di scarse infrastrutture per i trasporti, come la lontana Cina.
Il Caproni Ca.60 Transaereo, noto come Noviplano Transaereo o Capronissimo, era un progetto innovativo non solo per le grandi dimensioni dell’idrovolante per il volo civile. Costruito in un unico prototipo, volò solo due volte, il 12 febbraio e il 4 marzo 1921, decollando dal lago Maggiore, dove trovava la sua base aerea naturale.
Un idrovolante dalle dimensioni imponenti, spinto da ben otto motori, americani Liberty dodici cilindri da quattrocento cavalli l’uno, progettato per poter trasportare su distanze transatlantiche 100 passeggeri alla volta.
La cabina di pilotaggio era appesa sotto tre cellule triplane per un totale di nove ali, collocate una in testa, una a metà e un’altra in coda. L’apertura alare delle nove ali era di 30,00 metri, per una superficie totale di 750,00 metri quadrati; la fusoliera era lunga 23,45 metri e la struttura nel suo complesso era alta 9,15 metri.
All’interno della gondola anteriore e di quella posteriore sedevano due motoristi, che azionavano i controlli della potenza erogata dai propulsori in risposta agli ordini ricevuti dai piloti per mezzo di un articolato sistema di luci e indicatori su un pannello di comunicazione e comando.
La costruzione del Capronissimo iniziò nelle officine di Vizzola Ticino, poi essere poi terminata nel grande hangar costruito appositamente a Sant’Anna sulle rive del lago, dove arrivò anche l’ambasciatore americano che rimase impressionato dal velivolo. Ll 20 gennaio 1921 questo grande idrovolante dalla forma decisamente inconsueta, fu spinto per la prima volta in acqua. Il giorno successivo il velivolo venne ripreso da un cineoperatore; immagini che ancora oggi rimandano quanto fosse mastodontico l’aereo. Il primo volo di collaudo fu però rimandato diverse volte, a causa di diversi problemi sia alla rampa sia collegava l’hangar al lago, sia per guasti al mezzo, mandando su tutte le furie lo stesso Caproni.
Il 9 febbraio venne messo finalmente in acqua e cominciò a fare delle manovre. Ai comandi Federico Semprini, ex istruttore di volo militare noto per aver fatto compiere un “giro della morte” a un bombardiere pesante trimotore Caproni.
Il primo collaudo diede esito positivo, il velivolo si era dimostrato docile ai comandi, manovrabile e stabile, ma si era rivelato eccessivamente leggero in prua. Caproni rivide così i suoi calcoli e stabilì di caricare l’aereo con 300 chilogrammi di zavorra con sacchetti di sabbia, in prua prima di procedere con ulteriori prove. Il 12 febbraio 1921, con la prua dell’idrovolante appesantita dalla zavorra, l’aereo rientrò sul lago, e nello specchio d’acqua tra Arona, Angera e Sesto Calende raggiunse gli ottanta chilometri orari e decollò per la prima volta. Anche in volo si rivelò stabile e rispose bene ai comandi di Semprini.
Durante il secondo volo del 4 marzo Semprini portò l’aereo fino a 100 o 110 chilometri orari, improvvisamente l’aereo si staccò dall’acqua e iniziò a salire in assetto fortemente cabrato.
Il pilota ridusse la potenza dei motori, poi la coda dell’aereo iniziò ad abbassarsi e a perdere quota, infine si schiantò contro la superficie dell’acqua, seguita dopo un istante dalla prua, la quale sbatté violentemente e ruppe la parte anteriore dello scafo. Il Transaereo dovette essere trainato a riva dal punto, in mezzo al lago, in cui era precipitato. Nel corso del tragitto il velivolo subì ulteriori danni e il costo della riparazione dell’aereo sarebbe stato circa un terzo di quello che era stato quello per la costruzione del prototipo, ma le risorse dell’azienda erano insufficienti.
All’epoca le cause dell’incidente vennero identificate con diversi fattori: la scia di un piroscafo che navigava a poca distanza da dove il Transaereo compì la sua corsa di decollo, la quale probabilmente interferì e portò l’idrovolante ad alzarsi prima del dovuto e un errore del pilota, che continuò a tirare sui comandi nel tentativo di prendere quota, quando invece avrebbe dovuto eseguire delle manovre correttive. Ulteriori e recenti analisi hanno messo in evidenza che la causa principale dell’incidente avrebbe potuto essere invece il movimento dei sacchi di sabbia della zavorra che non erano stati vincolati ai sedili, si sarebbero spostati verso la coda dell’aereo al decollo, appesantendo notevolmente la coda rendendo il velivolo incontrollabile.
La maggior parte della struttura semidistrutta del relitto andò perduta dopo che il progetto del Transaereo venne abbandonato.
Grazie alla famiglia Caproni, alcuni frammenti sopravvissero, come i due galleggianti laterali, la sezione frontale del galleggiante-scafo centrale, un pannello di comunicazione tra i piloti e i motoristi e uno degli otto motori Liberty si trovano nel Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni di Trento. Una sezione di uno delle due travi longitudinali che, collegando il gruppo propulsore anteriore a quello posteriore, rafforzavano la struttura alare e una delle alette che univano lo scafo ai galleggianti laterali, sono invece conservati al museo di Volandia a Vizzola Ticino, nei pressi dell’aeroporto di Malpensa, negli stessi capannoni che per decenni ospitarono le officine Caproni.