yasujiro ozu

Yasuiro Ozu è stato il regista e sceneggiatore giapponese, con Kenji Mizoguchi e Akira Kurosawa, che ne percorse le tappe principali, dagli anni del muto a quelli del colore, arrivando alle soglie della modernità.

Nato a Tokyo il 12 dicembre 1903, Ozu crebbe in un ambiente della media borghesia, dove il padre era proprietario di una piccola industria di fertilizzanti, e visse per tutta la vita con la madre, senza mai sposarsi.

Studente mediocre e indisciplinato, trascorse gran parte del suo tempo guardando film americani e a vent’anni entrò negli studi di Kamata della Shōchiku, dove gli fu affidato il ruolo di assistente operatore e poi, sotto la guida del regista Tadamoto Ōkubo, d’ideatore di gag.

Dopo aver steso una prima sceneggiatura, nel 1927 fu promosso a regista con Zange no yaiba, il suo unico film storico.

Ozu realizzò nei primi anni della sua carriera un gran numero di film: ben diciannove fra il 1927 e il 1930, per arrivare poi a cinquantaquattro al termine della sua vita, dove era evidente l’influenza dei modelli americani, e in particolare quella dello slapstick, come testimonia il suo primo lavoro oggi conservato per intero, Wakakihi (1929).

Con l’arrivo degli anni Trenta, Ozu girò Ojōsan (1930), che ottenne il terzo posto nella classifica redatta dall’importante rivista “Kinema junpō” dei migliori dieci film d’ambientazione contemporanea dell’anno.

Yasniro si specializzò così nel dramma della gente comune, come in Umarete wa mita keredo, storia di due bambini che scoprono con amarezza la perdita di dignità del padre di fronte al suo datore di lavoro, e Hitori musuko (1936) su una madre delusa dall’atteggiamento rinunciatario del figlio nei confronti della vita.

Nel settembre 1937 Ozu fu arruolato nell’esercito giapponese e mandato a combattere in Cina, rientrò in patria nell’agosto 1939 e riprese il suo lavoro alla Shōchiku. I

Il clima culturale del Paese era però decisamente cambiato, e il governo richiese film consoni a una nazione in guerra e Ozu vi si adattò, senza tuttavia rinunciare al suo universo poetico, come Toda ke no kyōdai (1941) e Chichi ariki (1942).

Fu nel 1949, con Banshun, che il cinema di Ozu entrò nella maturità, su un padre vedovo che, per spingere la figlia a sposarsi e a farsi una vita propria, finge di avere un’amante, come in Akibiyori (1960) e Sanma no aji (1962), l’ultimo suo lavoro.

I ruoli dei due protagonisti erano interpretati da Chishū Ryū, il padre, già protagonista di Chichi ariki, e da Setsuko Hara, la figlia, che con i loro volti avrebbero segnato più di ogni altro interprete l’ultimo periodo del cinema di Ozu, come in Tōkyō monogatari (1953), il film del regista più noto in Occidente, su un’anziana coppia di genitori in visita ai diversi figli, ormai grandi, sposati e con prole, che vivono nella capitale.

Anche in questo caso i due genitori dovranno misurare la distanza che ormai li separa dai figli, e prendere atto della definitiva disgregazione del loro nucleo familiare la morte della madre e la solitudine del padre, con cui si chiude la vicenda, acquistano così un valore simbolico.

Se il tono di Tōkyō monogatari era drammatico, gli ultimi film di Ozu, anche grazie all’uso del colore, ebbero l’andamento di una commedia, come Ohayō (1959), storia di due fratellini che entrano in conflitto con il padre perché questi non vuole comprare un televisore, e Higanbana (1958),  sul contrasto tra un padre e la figlia, che ha scelto da sé il futuro sposo.

Il grande regista mori nella sua Tokyo, nello stesso giorno della sua nascita, il 12 dicembre 1963.