“Non possiamo rimanere in silenzio. Triste il Paese che rinnega i valori sui quali è fondato, annientando chi tali valori rappresenta”.
“La morte di Adil Belakhdim è una tragedia che ci tocca profondamente, come medici e come cittadini: non possiamo rimanere in silenzio”.
Così il Presidente della Federazione degli Ordini dei Medici, la Fnomceo, Filippo Anelli, interviene oggi sull’uccisione del sindacalista.
“Come medici, giuriamo di curare ogni uomo senza guardare alla sua pelle, alla condizione sociale, al credo religioso, alle idee politiche. E, da secoli, contribuiamo a rendere costitutivi della nostra società questi principi etici.
Come cittadini, non possiamo rimanere indifferenti di fronte a questo grave segno di imbarbarimento: è triste, è senza speranza un Paese che rinnega e calpesta i valori sulla quale è fondato, annientando chi quei valori rappresenta.
Uccidere un uomo, un lavoratore, un sindacalista che difendeva i diritti dei suoi colleghi è un delitto che va perseguito con determinazione, perché è un delitto contro l’intera società civile. Esprimiamo la nostra solidarietà alla famiglia, ai colleghi e a tutti i lavoratori che stanno indicendo scioperi a staffetta in memoria di Adil”.
“Condividiamo pienamente le dichiarazioni del Segretario della CGIL Maurizio Landini: si è passati dalla tutela del lavoro al disprezzo del lavoro. E questo mette a rischio la tenuta stessa della democrazia – continua il Presidente Fnomceo.
I suoi timori sono anche i nostri: è solo garantendo in modo eguale la dignità e la sicurezza di tutti lavoratori che si garantiscono, senza diseguaglianze, i diritti dei cittadini. Non per nulla la nostra Costituzione si apre dichiarando il diritto-dovere al lavoro quale fondamento della Repubblica, e fonte di tutti gli altri diritti e doveri”.
“Questo vale anche per i medici: solo garantendo la dignità e la sicurezza dei professionisti, si garantisce la qualità delle cure. Solo garantendo dignità alla Professione, la si mette in grado di svolgere quel ruolo sociale, di custodi dei Diritti, che lo Stato le affida per Legge.
Invece, il disagio dei medici è sempre più forte. E non si tratta solo di un disagio a livello personale, dovuto allo sfruttamento, alle condizioni inique e quasi impossibili di lavoro, alle carenze di organico che costringono a rinunciare ai giusti riposi, a procrastinare una maternità, persino la cura di una patologia, per non lasciare i colleghi da soli. Di un malessere che deriva dagli attacchi, dalle aggressioni fisiche e verbali degli stessi pazienti, dalla violenza.
Dell’amarezza per la scarsa considerazione, per l’erosione di competenze. Dello smarrimento dato dalla prigionia nell’imbuto formativo, all’impossibilità di specializzarsi e trovare il proprio posto nel Servizio Sanitario nazionale”.
“Il disagio dei medici è tanto più grave e profondo, perché accompagnato dalla consapevolezza che tale disagio si riflette in un’inadeguatezza dell’intero Servizio Sanitario Nazionale, dell’intero sistema di cure. Che, orientandosi al profitto e agli equilibri di bilancio, dimentica la sua vocazione, lo spirito della Legge 833, che lo ha creato quale strumento per concretizzare i diritti alla Salute e all’Uguaglianza dei cittadini.
E in questa dicotomia tra la mission dei medici -quella di accogliere e prendersi cura di tutti gli uomini, senza discriminazione alcuna, di favorire un clima di pace e di giustizia in cui siano rispettati i diritti fondamentali della persona, di farsi garanti di questi stessi diritti – e il contesto politico e sociale, che calpestando i professionisti, rinnega gli stessi valori su cui si fonda, è racchiusa tutta la drammaticità di quella che abbiamo definito la “Questione medica”.
Come medici, abbiamo giurato di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona; di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute; di attenerci ai principi morali di umanità e solidarietà. Non intendiamo abdicare né delegare ai nostri compiti, non vogliamo abiurare al nostro Giuramento né al nostro Codice.
Né vogliamo rassegnarci a un contesto che ci costringa a rinunciare alla nostra autonomia, alla nostra indipendenza, al nostro ruolo sociale oltre che professionale. Per questo siamo tanto colpiti dall’uccisione di Adil Belakhdim: perché riconosciamo l’altezza e insieme l’ingiustizia del suo sacrificio, del sacrificio di chi ha dato la vita per difendere i diritti di tutti– conclude Anelli”.