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Il 17 gennaio si celebra un rito dalla storia che intreccia mondo cristiano e mitologia celtica…

Nato nell’Alto Egitto a metà del III secolo d.C. da ricchi genitori cristiani, Sant’Antonio Abate rimase orfano all’età di vent’anni.

Il giovane Antonio donò ai poveri la sua eredità e decise di vivere da eremita nel deserto combattendo più volte contro le tentazioni, infatti, secondo la tradizione il demonio assunse le più diverse forme per tormentarlo e farlo desistere dal cammino di santità.

Una piccola folla di seguaci in poco tempo si riunì intorno al santo, per farsi dirigere nella vita eremitica, ne nacque il primo nucleo della fondazione monastica che tanta fortuna ebbe poi nel Medioevo.

Secondo quando documentato storicamente il santo morì il 17 gennaio e la sua festa si è trovata per caso nel contesto delle antiche feste pagane, così la fantasia popolare lo fece diventare un santo rurale, protettore degli animali da stalla.

Quando le reliquie del santo eremita giunsero in Francia, i primi cristiani trasferirono in Antonio alcune caratteristiche del dio della fine dell’inverno, Lugh.

Lugh era una divinità pan-celtica, condivisa da tutte le tribù, insediatesi in Europa, era il dio solare ma anche lo spirito del grano, omaggio al precedente culto della Terra come entità femminile.

In Irlanda Lugh è chiamato il Luminoso, re dei mitici Tuatha de Danann, visto come abile in molte tecniche delle due stirpi, quella dei figli della dea Danu, la dea della fertilità, che abitavano l’isola prima dell’arrivo dei Celti e quella dei Fomori che erano gli abitanti originari e che vennero sconfitti dai nuovi arrivati.

Il dio custodiva uno dei quattro tesori dei Tuatha De Danann, la Lancia, che dava al suo possessore l’invincibilità, ed era il padre del semi-dio, Cù Chulainn, il Mastino dell’Ulster, un abile guerriero dalla forza sovrumana.

Noto anche come il dio del gioco e della divinazione, Lugh risorgeva con la primavera, era il figlio della Grande Madre celtica cui erano consacrati i cinghiali e i maiali come lo erano alla romana Cerere.

I celti in suo onore portavano l’emblema di un cinghiale sugli stendardi e sugli elmi.

Dalla storia di Lugh si diffuse nelle leggende di sant’Antonio abate la figura del cinghiale, infatti si racconta che un cinghiale o un maiale fosse il diavolo sconfitto da Antonio resistendo alle tentazioni.

In un’altra si dice che un giorno il santo guarì un maialino e da quel momento questi lo seguì fedelmente.

Le tradizioni ancora vive legate al culto di Sant’Antonio sono la benedizione degli animali e l’accensione dei fuochi, con lo scopo magico di riscaldare la terra, e favorire così il ritorno della primavera.

E in molte località italiane, al mattino del 17 gennaio si benedicono gli animali e si preparano delle cataste di legna da accendere al tramonto.

Un tempo i sacerdoti andavano nelle stalle a benedire gli animali e poi si posava su una mensolina della stalla l’immagine del Santo, raffigurato fra ogni tipo di animale domestico.

Per Sant’Antonio si mangiavano gli gnocchi e nelle campagne le donne smettevano di filare, oltre a preparare un dolce benedetto per gli uomini e gli animali malati.