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Il momento che vide la fine di una grande dinastia d’imperatori romani e l’avvento di una nuova…

Dopo il grande incendio di Roma del 64 d.C. l’imperatore Nerone si diede a spese folli per ricostruire l’Urbe e per l’edificazione del suo nuovo palazzo, la Domus Aurea, spingendo molti senatori al suicidio per incamerarne i beni con cui pagare i lavori.

Poco dopo la fine della costruzione della nuova Roma cominciarono però le prime congiure contro la politica dell’imperatore, tra cui quella di Pisone, che però fu sventata, con il suicidio di tutti i nobili che vi furono coinvolti.

Tuttavia ben presto anche le province dell’impero si sollevarono, a partire dalla rivolta di Giulio Vindice, governatore della Gallia Lugdunense.

Nerone non poté fare molto, infatti il prefetto al pretorio Ninfidio Sabino lo abbandonò, aiutando il senato a dichiararlo hostis publicus, e l’imperatore si tolse la vita.

In seguito Vindice chiese a Galba, governatore della Spagna Tarraconense, di farsi difensore della res publica e il senatore, anche se era molto anziano, decise di accettare.

Anche Sabino decise di appoggiare il nuovo imperatore ma Galba, che era arrivato a Roma dopo la morte di Nerone, mal sopportando le laute ricompense che aveva promesso ai pretoriani, lo rimpiazzò con Cornelio Lacone.

Galba si fece fautore di una politica di forte austerità morale, ad esempio evitò di dare il donativo, mentre cercava di imporre una disciplina considerata ormai di altri tempi.

Inoltre l’imperatore designò come suo successore non l’amico Otone, che lo aveva appoggiato fin dall’inizio, ma il senatore Lucio Calpurnio Pisone Liciniano Frugi, nipote del Pisone che aveva congiurato contro Nerone, che considerava il migliore e il più nobile, poiché discendeva sia da Pompeo che da Crasso.

Otone non riuscì a tollerare la mancata adozione da parte di Galba e tramò per rimpiazzarlo, facendolo assassinare infine nel gennaio del 69, dopo essersi assicurato la fedeltà dei pretoriani, insieme al giovane Pisone.

Subito dopo Otone ristabilì la memoria di Nerone, fortemente amante del popolo, per una politica che strizzava l’occhio al ceto equestre più che alle tradizioni repubblicane senatoriali di Galba.

Ma, allo stesso tempo, in Germania le legioni avevano acclamato come imperatore il governatore Vitellio, che mosse verso sud.

Lo scontro tra i due imperatori avvenne a Bedriaco, nei pressi di Cremona, dove nonostante l’abilita di comandanti molto esperti da parte dell’esercito avversario, come Svetonio Paolino, i vitelliani ebbero la meglio e  Otone, alla notizia, si tolse la vita.

Mentre Vitellio faceva il suo ingresso in Roma, il 1 luglio del 69 le legioni orientali proclamarono imperatore ad Alessandria, in Egitto, Tito Flavio Vespasiano, che era stato inviato qualche anno prima da Nerone a domare la rivolta giudaica.

La guerra, che era alla fine con l’assedio di Gerusalemme, venne demandata da Vespasiano al figlio Tito, mentre anche le legioni danubiane, che erano quasi la metà dell’esercito imperiale, passarono dalla parte del nuovo imperatore.

Antonio Primo, comandante delle forze di Vespasiano, intercettò i vitelliani nuovamente a Bedriaco e dopo un ferocissimo scontro durato tutta la notte, questi ultimi ebbero la peggio.

Ora Antonio aveva la strada spianata verso Roma, dove Vitellio, in preda al panico cercò prima di abdicare, ma poi, abbandonato da tutti, fu ucciso dalla folla inferocita.

Nel dicembre del 69, con l’entrata di Antonio a Roma, Vespasiano divenne stabilmente imperatore. Il primo atto del nuovo imperatore fu quello di promulgare una lex de imperio Vespasiani, in cui si faceva attribuire tutte le prerogative imperiali, facendole retrodatare al 1 luglio, data della sua acclamazione in Egitto, legittimando il suo riconoscimento da parte dell’esercito.