Vladimir Putin

“Se conosci il nemico e conosci te stesso, in cento guerre da combattere non sarai mai vinto”.

Così scriveva Sun Tzu, nel celeberrimo: “L’Arte della Guerra”, più di 2.500 anni fa, attualissimo.

E allora cerchiamo di capire chi è il nemico pubblico numero uno dei nostri giorni. Anzi, partiamo da quello che sicuramente NON è.

Non è un pazzo furioso, non è un ideologo, non è Hitler, non ha scritto nessun Mein Kampf.
Niente di più lontano.

Estrazione, qui da noi diremmo piccolo borghese, madre operaia, padre funzionario (di polizia). Cresce, studia, si laurea (in legge-diritto internazionale-praticamente un collega…) e fa l’accademia militare a San Pietroburgo.

Giovane promettente viene assunto nell’ azienda più florida, efficiente e ricca dell’Unione Sovietica: il KGB. E viene spedito nella filiale più importante, il posto più caldo in una guerra freddissima: la DDR.

È li che impara, alla perfezione, il tedesco. Il ragazzo fa strada, mantiene tutte le promesse (quella di mantenere le promesse è una sua ossessione…) e viene notato da Boris Eltsin. Notato e apprezzato.

Talmente tanto che non solo è inserito nella lunga lista dei candidati alla sua successione, ma viene addirittura scelto. Una svolta nella Storia.

Putin eredita un paese allo sbando, una guerra sanguinosa e irrisolta, un secondo default finanziario, un esercito impegnato a vendersi il proprio arsenale, un’aspettativa di vita media, che è per i maschi, di 56 anni.

La Russia è un paria dello scenario internazionale. Ma VP salva il paese prendendolo per i capelli e ricompone, pazientemente, il puzzle andato in pezzi.

Risolve la guerra in Cecenia affidandosi soprattutto a Ramzan Kadirov (le cui famigerate squadracce ritroveremo poi in ogni conflitto successivo e purtroppo anche in questi giorni a Kiev) a cui affida ogni lavoro sporco e naturalmente le chiavi (e la presidenza) della piccola repubblica caucasica.

Ricostruisce e ammoderna pezzo per pezzo l’esercito, la marina e l’aviazione.

Di nuovo secondi a nessuno, lo si è visto in Siria. Inventa con Shoigu e Gerasimov le brigate Wagner che fanno il bello e il cattivo tempo in Africa e in Medio Oriente.

In campo diplomatico si affida a due Principi della diplomazia, cresciuti a pane e trattati, Primakov e Lavrov.

Fa riflettere che probabilmente, l’ultimo ministro degli Esteri con cui avrà parlato Sergey Lavrov è un ex venditore di bibite italiano diventato poi ministro, una sorta di nemesi, gli scherzi della storia.

Calcolatore, cinico, opportunista, a VP non interessano i mezzi, interessano i fini. Sul fronte interno manda in galera, nel migliore dei casi, chi gli si oppone.

Lascia spazio ad un’economia di mercato che consente il formarsi, soprattutto a Mosca e nelle principali città, di una classe media. Lascia crescere anche gli oligarchi.

Purché non rompano. E loro, a cui non piace il polonio come dolcificante, naturalmente, si adeguano.

Usa il petrolio e il gas non solo come volano economico ma anche come arma di ricatto per le assetate economie occidentali (fra cui la nostra, la Russia copre il 40% del fabbisogno energetico italiano).

“Time” in diverse occasioni ha attribuito ad Angela Merkel il titolo di donna più potente del mondo, è inutile che vi scriva a chi venisse attribuito il titolo relativo alla figura maschile.

Ma la differenza fra Putin e la Merkel è che VP nel suo agire non ha mai avuto nessuno scrupolo, nessun ideale. La sua unica fonte di ispirazione si chiama Real Politick.

L’unica direttrice della sua azione è data dai rapporti di forza. Non c’è altro.

Lo stiamo vedendo oggi, tutti. Anche chi non se n’era mai accorto prima, come qualche ex ministro italiano pronto a scambiare due Mattarella per mezzo Putin.

Ma veniamo ad oggi e a… domani…

I carri armati russi prima o poi entreranno a Kiev. Forse è questione di ore. Speriamo che Zelensky si salvi. I Russi piazzeranno il loro burattino.

Eppure, Vladimir Putin, con questa invasione che sicuramente risulterà vittoriosa (fino a quando terranno le difese ucraine?) sembra proprio aver segnato la propria fine.

Il maestro dei calcolatori ha sbagliato il calcolo finale, la somma non torna.
È stata la risposta compattissima, e durissima dell’occidente a scombinare tutto.

La messa al bando degli oligarchi, invitati neanche troppo gentilmente a togliersi dalle palle. Immaginiamo sicuramente non felicissimi, sicuramente non soddisfatti, gli Abramovich, i Potanin, gli Usmanov, i Prokorov.

Dovranno accontentarsi della Crimea per i loro super yacht quest’estate?
Aeroflot non gradita nei cieli europei, in gran parte già chiusi all’aviazione civile russa.

Sospeso il finanziamento del debito sovrano russo. Una stretta violenta sul rilascio del visti. E poi la fine di North Stream 2 e soprattutto l’esclusione dal sistema SWIFT, che ha dal punto di vista finanziario, l’effetto di una bomba atomica.

Anche se si trattasse di un’esclusione parziale, anche se i Russi dovessero mettersi a commerciare usando il sistema di pagamento dei… cinesi…

Non credo che VP, forte del suo gas, e dei suoi apparati di disinformazione, si aspettasse una reazione del genere.
Ma c’è molto di più.

Vladimir Putin con l’Occidente ha chiuso. Nessun leader gli stringerà più la mano, nessuno sarà più disposto ad incontrarlo.

Finanche una Marie Le Pen, finanche un Matteo Salvini. Se un giorno la Federazione vorrà tornare a dialogare con l’Occidente la sua voce non sarà quella di Putin. E allora a VP non resta che l’abbraccio con la Repubblica Popolare.

Il pitone giallo che si avvolge intorno all’orso.

Non è tutto. C’è il fronte interno. I Russi non sono più quelli di 70 anni fa. Vivo a Mosca da 15 anni. Ho conosciuto gente disperata perché durante la pandemia non poteva andare a farsi le vacanze in Sardegna e doveva accontentarsi della Crimea.

Bevono prosecco, amano guidare macchine tedesche, vanno a vestirsi a Milano. O nei centri commerciali delle grandi città russe dove comprano manifattura europea, americana, giapponese, coreana.

Se la società civile sovietica educata a pane e socialismo accettava di buon grado le ristrettezze di un’URSS isolata, quella di oggi, cresciuta a pane e Instagram non lo farà mai. Mai.

In altri termini quanto maggiore sarà l’isolamento russo, in cui Putin avviterà il paese, tanto maggiore sarà il discontento della società civile russa. La cui parte migliore già oggi, ieri, è scesa in piazza.

Allo Zar non rimarranno che la repressione (1.800 arresti in queste giornate) e i viaggi a Pechino.

Lo Zar è solo, lo Zar ha vinto, lo Zar ha perso.

Michele Lebotti