parità di genere

Entro il 30 settembre di quest’anno le aziende pubbliche e private con oltre 50 dipendenti devono redigere un rapporto biennale sulla situazione del personale maschile e femminile.

È quanto stabilito da un decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, pubblicato in Gazzetta Ufficiale sabato 28 maggio, che dà attuazione a quanto previsto nell’art. 46 del D.lgs 198/2006, il cosiddetto “codice delle pari opportunità”.

In sostanza, queste imprese dovranno indicare, ogni due anni: la situazione del personale maschile e femminile “in ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta”.

Le società devono produrre il rapporto esclusivamente in modalità telematica e l’applicativo informatico sarà operativo dal 23 giugno 2022. L’ispettorato del Lavoro, le figure istituzionali preposte e il ministero del lavoro potranno visionare i rapporti, al fine di valutare lo stato di avanzamento delle politiche volte alle pari opportunità.

Il rapporto deve essere redatto sia in relazione al complesso delle unità produttive e delle dipendenze, sia in riferimento a ciascuna unità produttiva con più di 50 dipendenti.

Le aziende pubbliche e private che occupano fino a 50 dipendenti possono redigere il rapporto su base volontaria. La mancata trasmissione – anche dopo l’invito alla regolarizzazione da parte dell’Ispettorato del Lavoro competente per territorio – comporta sanzioni.

Se nell’arco di un anno l’azienda non trasmette il rapporto, vede sospesi per un anno i benefici contributivi eventualmente goduti.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro verifica la veridicità dei rapporti e, in caso di rapporto falso o incompleto, è prevista una multa da 1.000 a 5.000 euro.

“Il decreto vuole dunque certificare”, commenta la Professoressa Rossana Berardi, Presidente di Women for Oncology Italy. “Auspichiamo che queste direttive, mirate ad avere un quadro più esaustivo del mercato del lavoro, servano a spingere le aziende ad assumere più donne”.

Nel 2021, come registra l’Istat, il tasso di occupazione femminile è al 50,5%. Il dato più alto di sempre, in risalita rispetto al 49% del 2020. Ma molto ancora c’è da fare e al Sud le medie scendono particolarmente. “Un problema di efficienza ma, molto probabilmente, anche culturale”, continua la Professoressa Berardi. “E che risente delle mancanze di strutture di welfare, il più possibile integrate con le esigenze femminili”.

Il divario di genere in quarant’anni è sceso da 41 punti a 18. Nel 1977 l’occupazione femminile era al 33,5%.

Fino al 2018 è aumentato di 16 punti. Mentre per gli uomini nel complesso è sceso. Molto giocheranno in futuro gli incentivi e le condizionalità date dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ai fondi e agli investimenti, unitamente a politiche sempre più volte a favorire l’integrazione delle donne nelle varie attività sociali.

I risultati verranno monitorati anche dagli osservatori esterni al Paese.