Storia dell’Alfetta, un’auto che ha segnato un’epoca.

L’Alfetta è una berlina sportiva, di classe medio-alta, prodotta tra il 1972 e il 1984 dalla casa milanese Alfa Romeo nello stabilimento di Arese.

Il contesto
L’Alfetta (progetto n.116) fu la figlia legittima della confusione che regnava all’Alfa Romeo nel 1969. La rivoluzione culturale di quel decennio aveva modificato il “modus vivendi” della società italiana e non solo, intaccando persino i gusti personali.

Di fatto, in Alfa, dubitavano che le sagome delle loro “1750” e “Giulia” non avrebbero retto l’impatto con le nuove tendenze stilistiche; d’altro canto era necessario introdurre novità che non si allontanassero troppo dai gusti della clientela già fidelizzata.

Il Centro Stile Alfa, guidato da Giuseppe Scarnati, disegnò così una vettura intermedia tra la 2000 e la Giulia, pronta a sostituire il primo modello che avesse perso troppo terreno sul mercato.

Linee tese e spigolose e una particolare attenzione allo spazio interno, per vestire uno schema tradizionale e prestigioso da berlina sportiva, settore in cui le Alfa Romeo, all’epoca, erano considerate all’avanguardia.

Occorre anche citare il pur marginale contributo di Giorgetto Giugiaro che, incaricato nel 1968 di progettare la nuova Alfa coupé, stava terminando gli esecutivi di quella che sarebbe poi diventata l’Alfetta GT.

Al fine di tranquillizzare la clientela circa l’abbandono dello schema tradizionale per il moderno transaxle, si fece ricorso alla citazione delle glorie sportive Alfa Romeo scegliendo il nome di Alfetta e così ufficializzando il nomignolo con cui i tifosi avevano soprannominato le Alfa Romeo 158 e 159 da Formula 1 che vinsero il campionato mondiale nel 1950 e 1951 con Nino Farina e Juan Manuel Fangio.

Il nuovo modello si dimostrò subito di ottimo livello, sia per estetica, sia per prestazioni, ma le polemiche infuriarono ugualmente, dividendo gli alfisti. Infatti, pur guadagnando enormemente in tenuta e stabilità, a causa dei più complessi leveraggi di comando del cambio, l’Alfetta aveva perduto parzialmente la dolcezza d’innesto dei rapporti, rispetto ai modelli precedenti.

Parallelamente al nuovo modello, l’azienda decise di lasciare in produzione anche la 2000 e la Giulia fino al 1977, causando – in parte – una serie di fenomeni di parziale concorrenza interna.

L’automobile
La nuova “Alfetta” avrebbe dovuto essere la vedette del Salone dell’automobile di Torino dell’ottobre 1971 e già in agosto erano state diffuse le caratteristiche tecniche alla stampa specializzata.

Tuttavia, la scelta di dare il maggior risalto alla contemporanea “Alfasud”, il timore di oscurare la “2000” e una serie di scioperi nella fabbrica di Arese, fecero slittare la presentazione di oltre sei mesi. Presentata nel maggio 1972, l’”Alfetta” fu senza dubbio una delle Alfa Romeo più innovative del dopoguerra.

Essa infatti pur rispondendo a tutti i canoni tipici del marchio rappresentava una forte innovazionerispetto ai modelli precedenti. La sua linea tutta segnò un punto di rottura con lo stile classico Alfa Romeo che avrebbe ispirato a lungo l’evoluzione della gamma della casa del Portello. Rimase sul mercato fino al 1984 quando venne sostituita dalla “90”.

La meccanica
Il classico bialbero Alfa Romeo di 1779 cm³ derivava direttamente da quello della 1750 modificato nella forma dei collettori di scarico e della coppa dell’olio per permettere di elevarne la potenza a 122 CV DIN. Costruito completamente in lega di alluminio aveva le canne dei cilindri di ghisa riportate e sfilabili.

I due alberi a camme in testa mossi da una doppia catena silenziosa anteriore, che garantiva un’eccellente affidabilità e durata, azionavano direttamente le valvole attraverso i bicchierini in bagno d’olio ad essi interposti, il che se da un lato rispondeva a esigenze di affidabilità e sportività, dall’altro rendeva la regolazione del gioco un’operazione lunga e costosa, anche se meno frequente.

Infatti qui i piattelli di spessore risultano posizionati all’interno dei bicchierini (a differenza del Motore bialbero FIAT che li ha visibili e a contatto con le camme), per cui la sostituzione implica lo smontaggio preliminare degli alberi.

Le due valvole erano inclinate a 80° per formare una camera di combustione emisferica ad alto rendimento, e quelle di scarico erano raffreddate dalla presenza nello stelo di sodio che ne diminuiva la temperatura durante l’uso passando dallo stato solido a quello liquido e garantendo così una più lunga durata delle stesse.

Il tutto era raffreddato dal liquido contenuto nel circuito sigillato provvisto di radiatore con la ventola per la prima volta mossa da motore elettrico azionato da un interruttore termostatico, anziché direttamente dal motore come sulla 1750.

L’alimentazione era assicurata da due carburatori orizzontali doppio corpo Weber 40 DCOE/32 riforniti di carburante dalla pompa meccanica. Vennero allestite anche vetture destinate al mercato d’oltreoceano provviste di iniezione meccanica Spica.

La novità vera fu l’inedito posizionamento del cambio a 5 marce al retrotreno in blocco con differenziale e frizione azionata idraulicamente (soluzione sostenuta da Giuseppe Busso), allo scopo di restituire un’ottimale distribuzione che migliorasse la tenuta di strada, rispetto ai precedenti modelli derivati dalla Giulia.

Inedito era anche lo schema delle sospensioni posteriori che adottavano per la prima volta su una vettura stradale della Casa un raffinato ponte De Dion costituito da un traliccio di tubi d’acciaio triangolare con il vertice imperniato anteriormente che mirava alla riduzione delle masse non sospese in modo da garantire una maggiore motricità alle ruote posteriori.

A tale scopo i freni a disco posteriori vennero spostati dalle ruote alla flangia dei semiassi sul differenziale. Su vetture di serie, fino ad allora, tali soluzioni tecniche erano state riservate a modelli di classe elevata come la Lancia Aurelia degli anni cinquanta della quale l’Alfetta riprende il sofisticato schema tecnico transaxle con cambio montato in blocco al differenziale posteriore per meglio ripartire e distribuire le masse sugli assi della vettura nello schema 50/50.

Le sospensioni anteriori indipendenti seguivano lo schema a bracci trasversali oscillanti e usavano come elementi elastici delle barre di torsione. Il tutto era completato da ammortizzatori idraulici e barre stabilizzatrici sia sull’avantreno che sul retrotreno.

I freni erano tutti a disco con comando idraulico a doppio circuito, servofreno a depressione e limitatore di frenata sul retrotreno. Il freno a mano agiva sulle ruote posteriori.

L’evoluzione della gamma
Nel 1975, in piena crisi petrolifera, venne presentata la versione semplificata dell’Alfetta, che come prevedibile montava un motore con cilindrata ridotta a 1570 cm³ e potenza di 109 CV (secondo norme DGM). Il nuovo propulsore deriva direttamente dalla versione già montata sulla serie Giulia (nella versione più potente, utilizzata fino al 1974 su GT e Spider): rispetto al propulsore di 1779 cm³ risultano ridotti sia l’alesaggio (78 mm) che la corsa (82 mm).

Esternamente la vettura era facilmente distinguibile per la presenza di una sola coppia di fari sul frontale, mentre per il resto, seppur dotata di allestimento più economico, era abbastanza simile alla sorella maggiore.

Il comportamento su strada delle due vetture era molto simile. A risentire della diminuzione di potenza erano soprattutto le doti di ripresa da bassa velocità nelle marce più alte. Il presunto beneficio in termini di consumo invece veniva vanificato dalla necessità di mantenere regimi elevati per ottenere un comportamento brillante.

Contemporaneamente l’Alfetta 1.8 subì qualche lieve ritocco estetico facilmente individuabile nello scudetto Alfa ora più largo. Il suo motore invece subì una riduzione di potenza che lo riportò a 118 CV.

Nel 1977, al salone di Ginevra, viene presentata l’Alfetta 2.0. La versione due litri porta molte novità. Per iniziare essa è facilmente distinguibile dalle sorelle minori per il frontale ridisegnato che ora oltre a essere più basso e più lungo di ben 10 cm presenta due fari rettangolari.

I paraurti sono sempre in acciaio inox ma hanno ora gli angoli in materiale plastico e incorporano inserti in poliuretano e anteriormente anche gli indicatori di direzione. I finestrini anteriori perdono il deflettore e i gruppi ottici posteriori sono maggiorati.

All’interno spicca subito la nuova plancia tutta di materiale plastico e il volante di nuovo disegno. Nel complesso la linea appare più moderna anche se più anonima e meno sportiva. Il motore deriva direttamente dalla versione di 1779 cm³ di cui mantiene anche l’originaria potenza di 122 CV.

L’aumento di cilindrata viene ottenuta aumentando l’alesaggio a 84 mm ma mantenendo invariata la corsa di 88,4 mm. Viene migliorata l’insonorizzazione delle parti meccaniche e le sospensioni sono maggiormente votate al comfort. Nel frattempo le versioni 1.6 e 1.8 vengono unificate negli allestimenti e nell’aspetto. Nel 1978 la 2.0 diventa “Lusso” grazie a finiture più accurate e il motore viene potenziato a 130 CV.

Con l’Alfetta 2.0 turbodiesel nasce nel 1979 la prima vettura italiana sovralimentata a gasolio. Esternamente è distinguibile dalla versione a benzina solo per le feritoie di aerazione supplementari presenti sul paraurti anteriore.

Questa vettura è spinta da un motore costruito dall’italiana VM Motori che fornisce 82 CV e spinge la vettura ad oltre 155 km/h, facendone la 2000 diesel più veloce all’epoca in produzione. L’aumento di peso dovuto al nuovo propulsore impone un irrigidimento delle sospensioni e una maggiore demoltiplicazione dello sterzo.

Anche i rapporti del cambio vengono adeguati. Nello stesso anno la versione 1.8 riacquista gli originari 122 CV di potenza massima ora a 5300 giri/min anziché a 5600 giri/min.

Dati tecnici
Caratteristiche tecniche – Alfa Romeo Alfetta 1.8 del 1972
Configurazione Carrozzeria: Berlina 5 porte Posizione motore: anteriore Trazione: posteriore

Dimensioni e pesi Ingombri (lungh.×largh.×alt. in mm): 4280 × 1620 × 1430

Diametro minimo sterzata: Interasse: 2510 mm

Carreggiate: anteriore 1360 – posteriore 1350 mm Altezza minima da terra

Posti totali: 5 Bagagliaio: 510 dm3 Serbatoio: 46 Masse a vuoto: 1.060 kg Meccanica

Tipo motore: 4 cilindri in linea ciclo Otto in lega leggera con testate emisferiche

Cilindrata: Alesaggio x corsa = 80 x 88,5 mm; totale 1.779 cm³

Distribuzione: A 2V, doppio albero a camme in testa e doppia catena Alimentazione: due carburatori a doppio corpo orizzontali Weber 40 DCOE/32

Prestazioni motore Potenza: 122 CV (90 kW) a 5500 rpm / Coppia: 17 mkg DIN (167 N m) a 4400 giri/min Accensione: Impianto elettrico: a 12v – Dinamo 420 W, batteria 50 Ah

Frizione: posteriore all’entrata del cambio, monodisco a secco con comando idraulico

Cambio: Posteriore a 5 rapporti sincronizzati + RM, in blocco con differenziale e freni

Telaio Corpo vettura Scocca metallica autoportante a struttura progressivamente differenziata

Sospensioni anteriori: Indipendenti, bracci trasversali oscillanti, barre di torsione longitudinali, barra antirollio, ammortizzatori idraulici telescopici / posteriori: Molle elicoidali a flessibilità variabile, bracci longitudinali di spinta e reazione, parallelogramma di Watt trasversale, barra antirollio, ammortizzatori idraulici telescopici

Freni anteriori: a disco / posteriori: a disco, con doppio circuito sulle 4 ruote, comando idraulico, servofreno a depressione e limitatore di frenata al retrotreno, freno a mano posteriore

Pneumatici 165 SR 14 (dall’82 optional 185/70 HR 14) Prestazioni dichiarate Velocità: 184,275 km/h

Accelerazione: sul km da fermo 31,327

Consumi a 80 km/h: 6,65 – a 120 km/h: 10,57 – urbano: 12,0 lt/100 km Altro Trasmissione Posteriore ad albero in due sezioni con ponte De Dion

Fonte dei dati: Prova su strada Alfa Romeo Alfetta, Quattroruote, Giugno 1972

Bibliografia
Rinaldo Gianola – Luraghi. L’uomo che inventò la Giulietta – Dalai Editore – 2000
Giorgio Lonardi – Così hanno distrutto un mito (intervista a Enrico Sala) – La Repubblica del 12/10/2002
Domenico Chirico – L’Alfa e le sue auto – Nuovi Periodici Milanesi – 2007
Carlo Alberto Monti – intervista a Domenico Chirico – Arese, 15/12/2007
Italo Rosa – Alfa Romeo: la tela di Penelope – Fucina Editore – 2012