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Il poeta che sognava un mondo ricco di gioia e allegria…

Alfonso Gatto nacque a Salerno il 17 luglio 1909 da una famiglia di marinai e piccoli armatori di origini calabresi e fece i primi studi nella sua città, poi nel 1926 s’iscrisse all’Università di Napoli che abbandonò qualche anno dopo, senza laurearsi, a causa di difficoltà economiche.

Visse un periodo di continui spostamenti che furono la caratteristica della sua vita irrequieta e avventurosa, trascorsa nell’esercizio e nella pratica di diversi lavori, prima come commesso, istitutore di collegio, correttore di bozze e infine giornalista.

Nel 1936, a causa del suo dichiarato antifascismo, fu arrestato e passò sei mesi nel carcere di San Vittore di Milano, nel 1938 fondò a Firenze, con lo scrittore Vasco Pratolini, la rivista Campo di Marte che diventa la voce della poesia dell’ermetismo.

Durante questi anni Gatto lavorò come collaboratore delle più innovatrici riviste e di periodici di cultura letteraria, dall’Italia Letteraria alla Rivista Letteratura a Circoli fino a Primato alla Ruota.

Nel 1941 il poeta ebbe la nomina a ordinario di Letteratura italiana per chiara fama presso il Liceo Artistico di Bologna.

A partire dall’autunno 1943 Gatto entrò nella Resistenza, le poesie scritte in quel periodo sono una testimonianza unica delle idee che animano la lotta di liberazione.

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale Alfonso divenne il direttore di Settimana, poi codirettore di Milano Sera e inviato speciale de L’Unità, dove assunse una posizione di primo piano nella pagina letteraria.

Il poeta, nel 1946, conobbe la pittrice triestina Graziana Pentich, da cui ebbe due figli, Teodoro e Leone.

Tra le sue raccolte sono da ricordare Isola (1932), Morto ai paesi (1937), Il capo sulla neve (1949), La forza degli occhi (1954), Osteria flegrea (1962), La storia delle vittime (1966) e Rime di viaggio per la terra dipinta (1969) ed ebbe diversi riconoscimenti, come i premi Savini (1939), St. Vincent (1950), Marzotto (1954) e Bagutta (1955).

Oltre che poeta Gatto fu anche un apprezzato scrittore di poesie per l’infanzia e gli ultimi anni della sua vita furono dedicati alla critica dell’arte e della pittura.

La vita del poeta fu segnata, nel 1963, dal dolore per la scomparsa di Teodoro, l’amato primogenito.

L’8 marzo 1976 Gatto si trovava in viaggio lungo l’Aurelia diretto a Roma, a bordo di una Mini Minor alla cui guida c’era la traduttrice e critica Paola Maria Minucci.

Nei pressi della Torba di Capalbio l’auto finì fuori strada e il poeta venne trasportato d’urgenza a Orbetello dove, per via delle condizioni critiche, si decise di caricarlo sull’ambulanza in direzione dell’Ospedale di Grosseto.

Alfonso Gatto morì alle 16:10 di quello stesso giorno, mentre si trovava ancora a Orbetello e tre mesi dopo mori anche il secondogenito Leone.

Il poeta è sepolto nel cimitero di Salerno, dove sulla sua tomba è incisa la frase dell’amico Eugenio Montale “Ad Alfonso Gatto per cui vita e poesie furono un’unica testimonianza d’amore”.