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La lunga storia della Repubblica di Venezia è legata da sempre alla figura del Doge, che riuniva le varie qualità, politiche e non, della città lagunare.

Molti dogi si limitarono a servire rigorosamente e fedelmente la Repubblica, ma altri tentarono di sovvertirla, altri la resero sempre più grande.

A garantire alla Serenissima i suoi 1100 anni di governo, contribuirono anche le limitazioni e i controlli imposti al vertice del Capo di Stato della Repubblica di Venezia.

La Venetiarum Respublica ebbe inizio nel 697 con l’elezione del primo doge Paoluccio Anafesto e vide la fine nel 1797 con l’abdicazione di Lodovico Manin, il centoventesimo.

Con l’arrivo delle spoglie di San Marco, il doge divenne anche il capo della Chiesa, ma era del tutto indipendente dalla stessa autorità papale, con poteri da vescovo, esercitati per i riti liturgici dal canonico Primicerio, il suo delegato in campo spirituale.

Nel 1268 nacque il sistema elettorale che serviva per portare il doge al potere e che rimase in vigore fino alla caduta della Serenissima.

Dopo i funerali del Doge si riunivano tutti i consiglieri del Maggior Consiglio dai quali erano allontanati i minori di trent’anni, il consigliere più giovane aveva l’incarico di prelevare dalla strada il primo ragazzino che passava tra gli otto e i dieci anni.

Il giovane, chiamato il balotin, avrebbe poi estratto le balote dalle urne elettorali e, una volta nominato il doge, rimaneva alla sua corte, come se fosse suo figlio.

Alla morte del Capo di Stato, il balotin veniva liquidato con un lascito in Ducati ed entrava a pieno diritto nella Cancelleria di Palazzo.

Dopo l’arrivo del ragazzo, erano chiuse in un’urna tante balote quanto erano i consiglieri rimasti, ma solo in trenta di esse vi era un foglio di pergamena con su scritto elector.

Il balotin estraeva le “balote” e le consegnava ai consiglieri, chi trovava la pergamena diveniva un elettore e i consiglieri che risultavano essere della stessa famiglia o che avevano legame di sangue con gli altri eletti, venivano scartati, l’estrazione continuava fino al raggiungimento del numero prefissato.

Dopo che i trenta eletti rimanevano in sala nell’urna venivano riposte trenta balote, di cui solo nove contenevano il bigliettino riportante la scritta elector.

I nove sorteggiati restavano poi soli in sala dove, con il voto favorevole di almeno 7 di loro, veniva indicato il nome di 40 consiglieri.

Sempre con il sistema delle balote ed il foglietto, i 40 venivano ridotti a 12 e questi, con il voto favorevole di almeno 9 di loro, ne eleggevano altri 25.

Dai 25 venivano sorteggiati 9 consiglieri e, con il voto favorevole di 7 di loro, i 9 ne eleggevano 45. Sempre con le balote ne venivano estratti dai 45 elettore 11 che, con il voto a favore di 9, nominavano 41.

Alla fine, i 41 si raccoglievano in un apposito salone, dove ciascuno gettava in un’urna un foglietto con un nome e ne era estratto uno a sorte.

Gli elettori potevano fare le loro eventuali obiezioni e accuse nei confronti del prescelto, che era poi chiamato a rispondere e a fornire giustificazioni.

Se il candidato otteneva il voto favorevole di almeno 25 elettori su 41, era proclamato doge, mentre, se non si riusciva a raggiungere questa maggioranza, si procedeva a una nuova estrazione finché l’esito non risultava positivo.

Nel 1786 giunse a Venezia una delegazione composta da Thomas Moore, Benjamin Franklin e Thomas Jefferson per apprendere le leggi dell’elezione del Doge della Serenissima, dalle quali presero l’idea per scrivere la Costituzione Americana.

Ancora oggi infatti, tra gli americani, viene usato il termine ballot box per indicare l’urna elettorale e ballot system per il ballottaggio.