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“C’era una volta, dunque, una casa dalle finestre accese fino a tardi. La loro luce festosa era come un faro agli occhi dei passanti frettolosi che, nelle sere di nebbia e di freddo, percorrevano quel tratto del lungo Po…”

(Antonio Debenedetti, Giacomino)

Giacomo Debenedetti e Renata Orengo si incontrarono per la prima volta al Teatro Regio di Torino, in una sera d’inverno del 1919, mentre ascoltavano I maestri cantori di Norimberga. 

La passione in comune per la musica e per Wagner fece subito empatizzare i due giovani, ma a spingere il ragazzo fino a casa degli Orengo non fu solo la dedizione per le arti, ma anche Renata, con i suoi modi gentili e la sua inesperienza.

Giacomo era nato a Biella il 25 giugno del 1901, da una famiglia ebraica commerciante di tessuti e, dopo il trasferimento a Torino a diciassette anni, s’iscrisse alla facoltà di Ingegneria Meccanica, come aveva promesso a suo padre.

La sua vita divenne un susseguirsi di letture, di studi, ma anche d’incontri e scambi con letterati, poeti, filosofi, pittori come Cesare Angelini, Eugenio Montale, il critico Renato Serra, mentre i suoi compagni si godevano la loro adolescenza.

Renata Orengo era la figlia prediletta del marchese Antonio e Valentina, una donna che parlava perfettamente il francese, il russo, l’inglese e il tedesco, molto più colta di quanto fosse comune per una signora della sua estrazione sociale.

Nel 1929, Giacomo pubblicò la prima raccolta dei Saggi critici e, malgrado non avesse ancora un lavoro stabile, e Renata aveva appena finito l’università, i due decisero di sposarsi.

Il matrimonio inizialmente sembrò spegnere l’ispirazione dello studioso, tanto che il critico collaborò con la Cines, la Lux Film ed ebbe contatti perfino con Zavattini e De Sica scrivendo per loro sceneggiature di gran successo.

In quegli anni del cinema, i Debenedetti decisero di lasciare Torino, con la loro casa sul lungo Po, e andare a Roma, ricca di possibilità.

Ma nel 1938, quando furono promulgate le leggi razziali, la loro vita cambiò per sempre e, tra il 1943 e il 1944, i due sposi si rifugiarono a Villa Baldelli, a pochi chilometri da Cortona.

Dopo la guerra, il desiderio di appartenenza a un gruppo di Giacomo si era acuito, e fu proprio questo a permettegli di farsi conoscere dagli intellettuali.

Furono anni difficili, che videro Giacomo prima trasferirsi a Messina, dove gli fu affidata la cattedra universitaria di Storia della Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea, poi a Roma, alla Sapienza.

Intanto Alberto Mondadori invitò Debenedetti a collaborare con la sua nuova casa editrice, Il saggiatore, poiché conosceva profondamente il mondo dell’arte e della letteratura.

Mentre con la Mondadori pubblicò finalmente il secondo volume dei Saggi critici, Giacomo per il Saggiatore propose nomi come Sartre, Lévi-Strauss, Klee, Fitzgerald, de Beauvoir e Lancan.

Malato da tempo, Giacomo mori il 20 gennaio del 1967, Renata unì allora le proprie forze a quelle del critico e amico Cesare Garboli, e insieme fecero rivivere l’opera di Debenedetti, pubblicata poi in diversi volumi da Il Saggiatore.

Renata lavorò poi per l’editore Garzanti, per curare i volumi concernenti le lezioni universitarie tenute dal marito, primo fra tutti il capolavoro Il romanzo del Novecento, pubblicati postumi negli anni Settanta.

La sposa di Giacomo si dedicò poi alla traduzione dalla lingua francese, tra opere di Nerval, Renard e Cocteau, prima di morire a Roma il 4 maggio 1998.