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Una maschera che incarna le varie facce del popolo romano…

Il simbolo del Carnevale a Roma è Rugantino, nato verso la fine del 1700, inizialmente indossava i panni del birro, cioè la guardia giurata del tempo, ma paradossalmente era identificato anche come il capo dei briganti.

La caratteristica principale di Rugantino è sicuramente l’arroganza, infatti il suo nome deriva proprio dal termine ruganza ovvero arroganza.

Rugantino nella tradizione romanesca ha due look, il primo, da guardia, con un costume appariscente, frac rosso e nero, panciotto, calzoni rossi, calze bianche a strisce orizzontali e un cappello alto e il secondo, che s’ispira al povero popolano, ha calzoncini, una fascia stretta intorno alla vita, una camicia con casacca e un fazzoletto legato al collo.

Nel corso degli anni queste caratteristiche hanno identificato la maschera sempre di più con il giovane fanfarone di quartiere un po’ delinquente, pronto con la lingua, sbruffone ma sempre sconfitto al momento di menar le mani.

La maschera era il personaggio preferito dal burattinaio romano Gaetano Santangelo, detto Ghetanaccio, morto nel 1832.

Anche Rugantino ha una sua compagna, Nina, che appare anche col nome di Rosetta, una popolana nota per i suoi gioielli, pronta a venire alle mani se è offesa, che ha tra i capelli, a guisa di spillone, uno spadino d’argento.

Nina è la rappresentante delle donne romane, ligia al costume e alla tradizione, ciarliera ma buona, litighina ma onesta, fiera della sua romanità e sempre disposta allo scialo con le amiche, come l’ha dipinta Augusto Jandolo nella Commedia di Rugantino.

E Rugantino, che parla il romanesco, per quanto tracotante e fanfarone si dimostra anche intelligente, coraggioso e sincero tanto da esser scelto nel 1848 come simbolo di patriottismo sulla testata d’un giornaletto romano, dove appariva armato di sciabola.

Nel settembre del 1887 l’editore Perino cominciò la pubblicazione della rivista Rugantino sotto la direzione del poeta e favolista romanesco Giggi Zanazzo che ne nobilitò la figura perché, come scrive Ettore Veo, “gli diede anima e vita, lo rese partecipe di ogni avvenimento cittadino e nazionale non soltanto nel suo foglio che difese Crispi nei tempi oscuri e che fu sempre devoto a casa Savoia, ma rivestì egli stesso i panni del grande attaccabrighe e per molti anni, in ogni carnevale, se ne andò a spasso per le vie di Roma, quando non lo presentò di persona nei convegni delle maschere a Milano e a Torino”.