TACE with degradable starch microspheres (DSM-TACE) as second-line treatment in HCC patients dismissing or ineligible for sorafenib. Iezzi R and HepatoCatt Study Group. Eur Radiol 2018

Studio multidisciplinare prospettico monocentrico eseguito nell’ambito dell’attività del gruppo HepatoCatt, coordinato dal prof Gasbarrini.

Tale studio riporta i risultati ottenuti mediante l’utilizzo di particolari particelle precaricate con farmaco chemioterapico nell’ambito del trattamento intra-arterioso di chemioembolizzazione; in particolare, queste particelle consentono di veicolare in maniera selettiva il farmaco chemioterapico direttamente all’interno del tumore, riducendone pertanto la diffusione e quindi gli effetti collaterali sistemici, riassorbendosi dopo circa 30 minuti.

La natura riassorbibile delle particelle consente di eliminare l’effetto embolizzante delle stesse, potendo quindi effettuare tale procedura anche in pazienti in condizioni cliniche avanzate, o con trombosi portale, che con le particelle standard avrebbero un elevato rischio di scompenso epatico.

I trattamenti di radiologia interventistica sono stati eseguiti per via percutanea, mediante accesso all’inguine, in anestesia locale, con l’ausilio di farmaci sistemici antidolorifici, senza necessità di esposizione chirurgica e/o anestesia generale, con rapida ripresa delle normali attività e degenza media di circa 2-3 giorni. I trattamenti sono risultati sicuri, in assenza di complicanze tali da richiedere alcun trattamento medico/chirurgico aggiuntivo.

Tali trattamenti sono stati effettuati in pazienti in stadio avanzato, dopo fallimento della terapia sistemica, con buon controllo locale di malattia (nel 60% circa dei casi), dato positivo se consideriamo che si trattava di pazienti con malattia avanzata e già trattati in maniera “standard”.

Questi risultati inoltre sono stati ottenuti in maniera sicura, senza complicanze maggiori per i pazienti. Va sottolineato che alcuni pazienti sottoposti a tali procedure hanno ottenuto una risposta di malattia tale da consentire di essere trapiantati.

Questi risultati confermano come la combinazione di più trattamenti e di più competenze, sia in fase di selezione dei pazienti sia in fase di trattamento, possa rappresentare l’unica modalità per ottenere risultati migliori in termini di terapie mirate e selezionate per ciascun paziente, potendo fungere anche da trattamenti ponte che possano rendere tali pazienti passibili di trattamenti curativi percutanei o chirurgici, quali resezione o trapianto, senza rischi di alterare la funzionalità epatica.

Dati i risultati ottenuti, si è proceduto ad effettuare un registro europeo di raccolta di tali procedure ed uno studio multicentrico nazionale prospettico, di cui il nostro Policlinico è promotore.

Radiofrequency ablation plus drug-eluting beads Transcatheter arterial chemoembolization for the treatment of single large hepatocellular carcinoma. 

Iezzi R et al . Dig Liver Dis 2015

Studio multidisciplinare eseguito in collaborazione con il gruppo HepatoCatt, coordinato dal Prof Gasbarrini.

Tale studio riporta i risultati ottenuti combinando un trattamento locoregionale percutaneo quale la termoablazione con un trattamento intra-arterioso, quale la chemioembolizzazione in pazienti affetti da epatocarcinoma di grandi dimensioni, non trattabili con la chirurgia.

I trattamenti locoregionali di radiologia interventistica sono stati eseguiti per via percutanea, in anestesia locale e minima sedazione, con l’ausilio di farmaci sistemici antidolorifici, senza necessità di esposizione chirurgica e/o anestesia generale, con rapida ripresa delle normali attività e degenza media di circa 2-3 giorni. I trattamenti sono risultati sicuri, in assenza di complicanze tali da richiedere alcun trattamento medico/chirurgico aggiuntivo.

La combinazione di tali trattamenti ha mostrato buoni risultati, consentendo di offrire opzioni potenzialmente curative a pazienti con lesioni di dimensioni maggiori, localizzate in posizioni altrimenti non trattabili con la sola termoablazione o in pazienti ad alto rischio procedurale.

Il Nostro Policlinico rappresenta un centro di riferimento internazionale per tali trattamenti, con risultati che sono stati presentati in congressi prestigiosi, pubblicati su riviste scientifiche di riferimento e citati nell’ambito delle opzioni terapeutiche per l’HCC.

Transradial versus Transfemoral Access for Hepatic Chemoembolization: Intrapatient Prospective Single-Center Study.

Iezzi R. et al    JVIR 2017

Studio monocentrico di confronto tra due approcci percutanei per le procedure di chemioembolizzazione. Tale studio è stato eseguito con la collaborazione del gruppo HepatoCatt, coordinato dal Prof Antonio Gasbarrini, e del gruppo IOC, centro di Interventistica Oncologica, diretto dal Prof Vincenzo Valentini.

Ciascun paziente ha effettuato i due trattamenti di chemioembolizzazione lobare previsti nel piano terapeutico utilizzando alternativamente l’approccio transfemorale o transradiale. Quest’ultimo approccio, utilizzato routinariamente in ambito cardiologico, è stato proposto come alternativa per i suoi vantaggi post-procedurali.

Con l’obiettivo di offrire ai pazienti un trattamento che potesse essere il meno invasivo possibile e soprattutto potesse determinare il minor discomfort possibile, abbiamo applicato tale tecnica anche alle nostre procedure di radiologia interventistica. Il nostro studio ha dimostrato che l’approccio transradiale è sicuro, in assenza di differenze in termini di complicanze procedurali rispetto all’approccio transfemorale, senza modifiche in termini di tempo procedurale.

A fronte di tali risultati similari, l’approccio transradiale si è dimostrato superiore in termini di riduzione significativa del disagio post-procedurale. Infatti esso consente al paziente una immediata mobilizzazione, evitando di dover rimanere 6-12 ore allettato, con la possibilità di essere del tutto indipendente anche per le normali attività. Inoltre, tale vantaggio risulta fondamentale anche per la gestione del dolore post-procedurale, possibile in caso di chemioembolizzazione per le prime 12 ore, consentendo di assumere posizioni antalgiche.

Per tale motivo, previa valutazione di criteri specifici di inclusione dei pazienti, attualmente utilizziamo routinariamente anche tale nuovo approccio.