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Il poeta che cercava di trovare nelle sue opere la magia dell’infanzia…

Giovanni Placido Agostino Pascoli nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855 e all’età di dodici anni perse il padre, ucciso da una fucilata sparata da ignoti, nella serata del 10 agosto 1867.

La famiglia del poeta fu così costretta a lasciare la tenuta della Torre, che il padre amministrava, perdendo quella condizione di benessere economico di cui aveva goduto.

Nell’arco dei sette anni successivi, Giovanni perse la madre, una sorella e due fratelli, nonostante ciò proseguì gli studi prima a Firenze, poi a Bologna, poi conseguì la laurea in Lettere nel 1882.

Iniziò a lavorare come professore di greco e latino a Matera, Massa e Livorno e in questo periodo pubblicò le prime raccolte di poesie L’ultima passeggiata (1886) e Myricae (1891).

La poesia di Pascoli è caratterizzata da una metrica fatta di endecasillabi, sonetti e terzine coordinati con grande semplicità.

In una forma classica all’apparenza, si nota il suo gusto per le letture scientifiche e a tali studi si ricollega il tema cosmico di Pascoli, oltre alla precisione del lessico in campo botanico e zoologico. Uno dei meriti di Pascoli fu quello di rinnovare la poesia, toccando temi fino ad allora trascurati dai grandi poeti e con la sua prosa trasmise il piacere delle cose semplici, usando quella sensibilità infantile che ogni uomo porta dentro di se.

Pascoli era un uomo malinconico, rassegnato alle sofferenze della vita e alle ingiustizie della società, ma seppe sempre conservare il senso profondo dell’umanità e della fratellanza.

Crollato l’ordine razionale del mondo, in cui aveva creduto il positivismo, il poeta, di fronte al dolore che domina sulla Terra, recuperò il valore etico della sofferenza, che riscatta gli umili e gli infelici, sempre capaci di perdonare i propri persecutori.

Nel 1892 vinse la prima delle sue medaglie d’oro al concorso di poesia latina di Amsterdam, dove partecipò varie volte negli anni, vincendone ben tredici.

Dopo un breve soggiorno a Roma si trasferì a Castelvecchio di Barga, piccolo comune toscano, dove acquistò una villetta e una vigna e dove visse per tutta la vita con la sorella Maria, da lui affettuosamente chiamata Mariù.

Pascoli insegnò all’università, prima a Bologna, poi a Messina e infine a Pisa, oltre a pubblicare tre saggi danteschi e varie antologie scolastiche.

La produzione poetica proseguì con i Poemetti (1897) e i Canti di Castelvecchio (1903) e raccolse i suoi discorsi sia politici, che poetici e scolastici nei Miei pensieri di varia umanità (1903).

Ottenne poi la prestigiosa cattedra di Letteratura italiana a Bologna, prendendo il posto lasciato da Giosuè Carducci e nel 1907 pubblicò Odi e inni, cui seguono Canzoni di re Enzo e i Poemi italici (1908-1911).

Nel 1912 la salute di Pascoli peggiorò, al punto che dovette lasciare l’insegnamento per curarsi a Bologna, dove morì il 6 aprile.