Ottone Rosai Piazza del Carmine

Il pittore che visse una vita segnata dall’amore per l’arte…

Ottone Rosai nacque il 28 aprile 1895 in via Cimabue, nel cuore di uno dei vecchi quartieri di case popolari di Firenze, il  padre, Giuseppe, era fiorentino, la madre, Daria Deboletti, della provincia di Siena, ed ebbero altri tre figli: Ada, Oreste e Perseo.

Il nonno paterno, valente intagliatore, aveva lasciato in eredità ai suoi  discendenti una bottega d’antiquariato con laboratorio artigiano annesso, ma la speranza di Giuseppe di indurre il primogenito a continuare la tradizione di famiglia fu  ben presto delusa, dato che si iscrisse all’Istituto d’Arti Decorative in piazza Santa Croce, dove non rimase che per poco tempo.

Successivamente Ottone frequentò il Regio Istituto di Belle Arti ma, se  i risultati dei corsi di studio erano  buoni, dopo un diverbio con il maestro Calosci fu immediatamente cacciato.

Inadatto alle costrizioni, Rosai passò la sua adolescenza tra la passione per le sale da gioco, i caffè, il biliardo, ma soprattutto la vita notturna nella Firenze popolare.

Del novembre 1913, a Firenze, in un locale di via Cavour, allestì la sua prima mostra insieme a Betto Lotti e nella stessa  strada, dal libraio Gonnelli, era vistabile quella dei futuristi di Lacerba, condotti da Papini.

I futuristi una sera visitarono la vicina esposizione, dove conobbero Rosai, che divenne amico di  Marinetti, Boccioni, Palazzeschi, Carrà, Severini e Soffici, suo amico, maestro e punto di riferimento per tutti gli anni Venti, facendogli scoprire l’innovativa lezione di Cézanne e il cubismo di Picasso.

Nel 1915 Rosai si arruolò come volontario all’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale e fu decorato più volte per atti eroici e a cui dedicò le memorie di Libro di un teppista (1919) Dentro la guerra (1934).

Fra il 1919 e il 1920 Ottone orientò la sua ricerca espressiva, tra tele e disegni di piccole dimensioni che restano  fra gli esiti più significativi dell’arte italiana del Novecento.

Nel novembre 1920 espose alcuni fra i migliori lavori del periodo in una mostra personale ordinata nelle sale di Palazzo Capponi, a Firenze, ma nel febbraio 1922 il  padre, oppresso dai debiti, si suicidò gettandosi nelle acque dell’Arno.

Il 17 aprile 1924 il pittore sposò Francesca Fei, un’impiegata del giornale La Nazione conosciuta nel 1921, ma per saldare i debiti dovette vendere, a poche lire, gli oggetti di casa e i quadri più belli per saldare i conti in sospeso del padre e solo nel 1927 riprese a dipingere con una certa continuità.

Nel 1930 pubblicò Via Toscanella per Vallecchi e un anno dopo affittò nella frazione di Villamagna un casotto da adibire a studio.

In quegli anni Rosai divenne amico di Montale e dei giovani poeti ermetici, oltre che con lo scrittore Romano  Bilenchi.

Nel 1942 gli fu assegnata la cattedra di pittura dell’Accademia di Firenze, mentre dipingeva una serie di autoritratti e alcune emblematiche crocefissioni.

Dopo la seconda guerra mondiale Rosai prese parte a una serie di mostre internazionali che lo videro  protagonista, dal 1950 in poi, anche a Parigi, Zurigo, Londra e Monaco di Baviera.

Nel 1952, alla Biennale di Venezia, gli fu dedicata un’intera sala, ma i membri della giuria per l’assegnazione dei premi gli negarono il riconoscimento ufficiale.

Quando nella primavera del 1957 Pier Carlo Santini organizzò ad Ivrea, presso il Centro Culturale Olivetti, un’importante rassegna antologica incentrata sulla figura umana, Rosai si recò in Piemonte per curare personalmente l’allestimento, ma, nella notte del 13 maggio, mori per un malore in una camera dell’Albergo Dora.