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Giuseppe Tucci, nato a Macerata il 5 giugno 1894, fu un grande orientalista, che allo studio delle fonti letterarie unì un vivo interesse per la conoscenza diretta dei paesi e delle genti di quei luoghi.

Laureato in Lettere presso l’Università di Roma, in questa stessa Università dal 1930 insegnò Religioni e Filosofia dell’India e dell’Estremo Oriente, portando un contributo chiave, soprattutto alle ricerche sul pensiero religioso e filosofico dell’India e del Tibet, in particolare sul Buddhismo.

Il risultato delle sue ricerche è condensato in opere come Il Buddhismo (1926), Indo Tibetica (1932-42), Tibetan Painted Scrolls (1949), Minar Buddhist Texts (1956-58), Storia della Filosofia Indiana (1957), Tibet (1968) dove studiò il ricco materiale storico, letterario e artistico raccolto nel corso delle numerose spedizioni scientifiche compiute dal 1928 nel Tibet Centrale e Occidentale e nel Nepal, in regioni pressoché inesplorate.

Come Presidente dell’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, Tucci diede un grande impulso allo sviluppo dei rapporti culturali tra l’Italia e l’Oriente e dal 1956 diresse le Missioni archeologiche italiane in Afghanistan, Iran e Pakistan che riportarono alla luce nuove importantissime testimonianze delle più antiche civiltà di quei paesi.

Fu il premio Jawaharlal Nehru e il professore emerito di Religioni e filosofia dell’India e dell’Estremo Oriente.

Il suo primo viaggio in Oriente avvenne nel 1925, grazie al sostegno accordato dal Governo italiano per insegnare lingua, arte e letteratura italiana all’Università Visva Bharati di Shantiniketan.

Nel 1926 visitò l’Assam e iniziò a insegnare nelle università statali indiane di Dacca, Varanasi e Kolkata, si recò inoltre nel Punjab, nel Kashmir e per due volte in Ladakh, Sikkim e una in Nepal, per studiare i testi buddhisti contenuti nelle biblioteche monastiche e palatine.
Dal gennaio 1927 Tucci, allora docente alla Regia Università di Roma come incaricato di “Religioni e filosofia dell’India e dell’Estremo Oriente, fu inviato senza limiti di tempo presso il Ministero degli Affari esteri e Direzione generale delle Scuole italiane all’estero.

Tra il 1928 e il 1948 organizzò otto spedizioni in Tibet, Ladakh, Spiti, e altre cinque furono condotte in Nepal nel 1929, 1931, 1933, 1952 e 1954, raccogliendo oggetti, testi e una documentazione unica del patrimonio artistico e letterario di quei paesi.

Divenne buddista durante la spedizione del 1935, come raccontò in Santi e briganti nel Tibet ignoto, ed era convinto di essere stato un tibetano nella sua vita precedente, e di essersi reincarnato in Occidente per aiutare il suo popolo a salvare le testimonianze della sua religione e della sua cultura.

Negli anni che seguono, la sua vita professionale fu costellata da  nuove esperienze, nel settembre del 1929 fu nominato membro della Reale Accademia d’Italia.

All’inizio del 1931 rientrò in Italia per insegnare lingua e letteratura cinese presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli e, nel 1932, passò alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma La Sapienza, dove insegnò, come professore straordinario prima e ordinario poi, Religioni e Filosofia dell’India e dell’Estremo Oriente fino al 1969.

Fondò nel 1933 l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente di Roma per sviluppare le relazioni culturali tra l’Italia e i paesi asiatici ma l’attività di questo cessò nel 1944 dopo l’ingresso delle truppe alleate a Roma, tornando in funzione nel 1947.

Nel 1936-1937 venne inviato in missione culturale in Giappone come rappresentante del governo, col titolo di ministro.

Dopo una prima ricognizione effettuata nel 1955, diede inizio alla Missione Archeologica Italiana nella valle dello Swat in Pakistan; nel 1956 avviò le ricerche archeologiche in Afghanistan e nel 1959 in Iran, dirigendo i lavori fino al 1978.

Dopo molti altri viaggi in Oriente, nel 1968 andò in pensione e fu nominato nel 1970 professore emerito.

Nella sua lunga attività didattica, Tucci formò studenti come gli orientalisti Pio Filippani Ronconi, Fosco Maraini, Mario Bussagli, Raniero e Gherardo Gnoli, e in particolare Luciano Petech.

Il grande studioso morì a San Polo dei Cavalieri il 5 aprile 1984.