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Un evento che entrò nella storia di Roma…

A Canne, in Puglia, il 2 agosto del 216 a.C., si compì una delle peggiori disfatte della storia di Roma, l’esercito perse 40 mila uomini tra caduti e prigionieri, contro il grande esercito di Annibale, il condottiero cartaginese della seconda guerra punica.

Giunto in Italia dalla Spagna, Annibale in poco tempo aveva avuto una serie di vittorie schiaccianti, come sulla Trebbia nel 218 a.C. e al lago Trasimeno l’anno successivo, dove morì il console Gaio Flaminio Nepote, oltre a decine di romani.

Per affrontare la situazione il senato nominò un dittatore, Quinto Fabio Massimo, che decise di non ingaggiare battaglia con il comandante cartaginese, consapevole della sua superiorità tattica, ma di attendere e fargli terra bruciata intorno.  Annibale non poteva di assediare Roma vista l’esiguità delle forze e il rischio di un esercito nemico che lo prendesse alle spalle.

La tattica di Fabio si rivelò vincente, tanto da farlo passare alla storia come il cunctator, ossia il temporeggiatore, ma le elezioni del 216 a.C. videro l’ascesa al potere dei consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone, che misero insieme un esercito di oltre 80.000 uomini, contro i circa 50.000 di cui disponeva Annibale.

Mentre Emilio Paolo, di origine patrizia, intendeva seguire la tattica del temporeggiatore, Varrone, di origine plebea, premeva per lo scontro in campo aperto, come anche Annibale, dopo il continuo rifiuto di Fabio Massimo.

Il comandante cartaginese s’impadronì così della città di Canne, dove i romani avevano raccolto molto grano e che si trovava in una posizione strategica, infatti l’esercito dei due consoli si diresse nella zona e vi si accampò alla fine di luglio.

Emilio Paolo era deciso a non ingaggiare battaglia, ma il 2 agosto il comando era, secondo il principio dell’alternanza, di Gaio Terenzio Varrone, che decise di dare battaglia ad Annibale, così schierò la fanteria, per far valere la maggior numerosità e compattezza romana per travolgere le truppe nemiche.

La cavalleria fu posta ai fianchi per proteggere la fanteria poiché il terreno impervio, secondo Varrone, avrebbe neutralizzato quella cartaginese.

Intanto Annibale dispose il suo esercito ponendo al centro i galli e gli iberici, nella forma di una mezzaluna rivolta verso i romani, come fosse un cuneo, per attrarre verso il centro i romani, proprio dove Varrone voleva colpire.

Ai fianchi degli iberici e dei galli c’era la fanteria pesante africana, equipaggiata con armi e armature sottratte ai romani e sul fianco sinistro la cavalleria pesante iberica e gallica aveva il compito di travolgere quella di Lucio Emilio Paolo.

La cavalleria iberica e gallica attaccò subito quella sull’ala destra romana e, sull’ala opposta, la cavalleria numidica entrava in contatto con quella romana, senza tuttavia riuscire a metterla in fuga.

Nel frattempo, la cavalleria iberica e gallica aveva aggirato i romani ed era arrivata in soccorso dei numidi, per mandare in rotta l’ala comandata da Varrone.

Le legioni continuavano ad andare sempre più in avanti, mentre i cartaginesi continuavano a ripiegare ordinatamente, capovolgendo la mezzaluna.

Tuttavia i romani continuavano a premere in avanti, perdendo di coesione, e si trovarono sui fianchi ben 10.000 africani, poi la cavalleria cartaginese attaccò alle spalle i romani, che erano totalmente accerchiati, impossibilitati a muoversi.

Il massacro durò per ore; e Lucio Emilio Paolo, ferito, scese da cavallo perché non riusciva a stare in sella, andando incontro alla morte e Varrone, che aveva guidato i romani verso la disfatta, riuscì ad arrivare a Venosa con alcuni cavalieri.

I sopravvissuti di Canne furono riuniti in due legioni, relegate alla Sicilia durante seconda guerra punica, con il divieto di tornare in Italia finché il cartaginese non fosse stato sconfitto.

Alcuni anni dopo, a Zama, furono le legioni cannensi a tenere il campo nell’assalto finale di Annibale, permettendo a Scipione di usare contro il cartaginese la sua stessa tattica, accerchiandolo e vincendo la guerra.