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Oggi, a 88 anni, l’attore francese Jean-Paul Belmondo, un fascino senza tempo, ha portato il suo sorriso, il suo piglio ribelle tra le nuvole.

Uno dei miti del cinema degli anni Sessanta e Settanta, in cinquant’anni di carriera, Belmondo ha partecipato a più di 80 film e recitato con i più grandi registi, specialmente francesi, da Truffaut a Lelouche, la sua fama è dovuta sia a film d’essai apprezzati dalla critica come a film d’azione e commedie di grande successo commerciale.

Fisico e viso da boxeur, sport che aveva praticato da giovane, non si riteneva bello, tuttavia fu uno degli attori della sua generazione più amati dalle donne, sullo schermo e nella vita, al punto da guadagnarsi il soprannome di Bebel, rivaleggiando con l’amico Alain Delon.

Nato a Neuilly-sur-Seine il 9 aprile del 1933, Jean Paul Belmondo, figlio di Paul Belmondo, rinomato scultore di origini italiane titolare di una cattedra presso l’Accademia di Belle Arti, cresce in un ambiente intriso di cultura, con frequentazioni da  rampollo della buona borghesia, studi al Conservatorio, poi la sua personalità esuberante ed esibizionistica lo porta verso il palcoscenico.

Debuttò al cinema nel 1956, prendendo parte al cortometraggio di Norbert Tidian Molière, dopo essersi diplomato al Conservatorio Nazionale di Arte Drammatica e aver recitato a teatro nell'”Avaro” di Molière e nel “Cyrano de Bergerac” di Rostand.

Trova piccole parti, tra cui quella il Lou di Peccatori in blue-jeans di Marcel Carné. Nel 1959 è Laszlo Kovacs, protagonista di A doppia mandata di Claude Chabrol, quindi è D’Artagnan in una versione dei Tre moschettieri per la tv francese. La svolta arriva con Jean-Luc Godard, che gli offre una somma importante, ben 50mila franchi del tempo per un cortometraggio da girare nella sua stanza. Dopo il corto, Charlotte et son Jules, Jean-Paul accetta d’interpretare anche il primo lungometraggio di Godard, Fino all’ultimo respiro: ma è convinto che il film, girato contro ogni regola vigente nei set dell’epoca, non uscirà mai.

Contrariamente al suo pensiero, Fino all’ultimo respiro diventa invece un gran successo e il manifesto della Nouvelle Vague francese, aprendo una nuova epoca del cinema. Belmondo da un giorno all’altro vede moltiplicarsi le proposte di lavoro e si scopre uno degli attori più richiesti d’Europa. Nei primi anni Sessanta è spesso anche in Italia, dove interpreta un film dopo l’altro (è Michele ne La ciociara di Vittorio De Sica, Amerigo in La viaccia di Luigi Bolognini, il Livornese in Mare matto di Renato Castellani) ritrovandosi accanto a Sofia Loren, Gina Lollobrigida, Claudia Cardinale.

Viene chiamato da Claude Sautet per interpretare il co-protagonista di Asfalto che scotta, noir apprezzatissimo dalla critica dove,  con Lino Ventura, mise in mostra le proprie capacità di attore drammatico.

Gli anni Sessanta furono un decennio d’oro per l’interprete francese, come dimostrarono Leon Morin prete del 1961 e Lo spione del 1962, diretti dal maestro del polar Jean-Pierre Melville.

L’attore, dopo aver ottenuto popolarità e ricchezza, decise di virare verso film più commerciali, come Rapina al sole del 1965, Un avventuriero a Tahiti e Il ladro di Parigi, e il ritorno al cinema d’autore avvenne con Stavisky il grande truffatore, diretto nel 1974 da Alain Resnais.

Il massimo della popolarità arriva nel 1970, con la parte di François Capella in Borsalino di Jacques Deray che sbanca i botteghini sfruttando l’accoppiata tutta francese con Alain Delon.

Successo che continua con Come si distrugge la reputazione del più grande agente segreto del mondo, Gli sposi dell’anno secondo, che oltre a sbancare i botteghini, lo tengono sempre nel mirino dei grandi registri d’oltralpe, come in Trappola per un lupo di Chabrol.

Proprio negli anni Settanta, Belmondo si dedicò a numerose pellicole poliziesche, dove si fece notare per la sua partecipazione a scene pericolose senza ricorrere a controfigure, ma collaborò anche con registi come Philippe Labro, Georges Laurner e Henry Verneuil.

Negli anni Ottanta, iniziò un leggero declino per l’attore con pellicole come Professione: poliziotto del 1983 e Tenero e violento del 1987, alternate a numerose commedie.

L’ultimo colpo di coda di Belmondo arrivò nel 1989, con il Premio Cesar ottenuto come migliore attore protagonista del film di Claude Lelouch Una vita non basta.

Dagli anni Novanta, le più soddisfazioni arrivano dal teatro; dove si esibisce come Cyrano de Bergerac e nei panni del mitico Fréderick Lemaître, mattatore dell’ottocentesco Boulevard du Crime.

Da allora Belmondo, colpito da un’ischemia cerebrale nel 2001, rimase lontano dal grande schermo fino al 2008, quando tornò nel ruolo del protagonista nel remake transalpino di Umberto D.

Il 18 maggio 2011, a suggello di una vita dedicata al cinema, l’attore ricevette la Palma d’Oro alla Carriera al Festival di Cannes e nel 2016 venne premiato con il Leone d’oro alla carriera al Festival del cinema di Venezia.