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Una storia che cambiò il modo di vedere la mitologia greca…

Heinrich Schliemann, noto e stimato archeologo tedesco, aveva solo sette anni quando suo padre per Natale gli regalò un volume illustrato che conteneva un’incisione raffigurante l’incendio di Troia, avvenuto dopo la conquista della città da parte dei Greci che, in base al poema omerico, lo assediavano da 10 anni.

Da allora Heinrich decise di trovare le rovine di Troia e provare al mondo che i racconti di Omero non erano fantasia, ma realtà, sembrava un sogno irrealizzabile per il figlio di un povero pastore protestante, che appena adolescente venne costretto a lavorare come garzone di drogheria.

Eppure, per prepararsi a realizzare il suo sogno, Schliemann imparò da solo il greco classico, per leggere Omero nella lingua originale e cominciò a costruirsi una fortuna, in poco tempo si fece strada nel commercio, tanto da potersi ritirare quando aveva superato la quarantina.

Poi persuase l’arcivescovo di Atene a trovargli la moglie ideale, una greca che doveva rispondere a quattro condizioni, essere povera, essere giovane e bella, avere un temperamento generoso e conoscere bene le opere di Omero.

La donna con questi requisiti venne trovata nel 1869, era una graziosa ateniese, Sophia Engastromenos, non ancora ventenne.

Con i nomi di Ettore, Achille e Aiace che tornavano nelle loro conversazioni, Schliemann e la giovane sposa si misero in viaggio verso i Dardanelli, per individuare la pianura di Troia descritta da Omero.

Il giovane archeologo riteneva, in base a una tradizione locale, che Troia si trovasse a Hissarlik, un villaggio posto su un’altura di 54 metri, di fronte alla città di Gallipoli, perché questo concordava con le conoscenze omeriche e si sapeva che conteneva antiche rovine.

A quel tempo, l’archeologia non era la scienza esatta che sarebbe stata in seguito, e Schliemann non aveva mai effettuato scavi archeologici, cosi assoldò un esercito di 100 operai e fece scavare una buca profonda, nel ripido versante nord di Hissarlik, per vedere che cosa c’era sotto.

Ben presto, Schliemann si trovò di fronte a un ammasso di rovine, che furono identificate come gli strati corrispondenti a nove diverse città, una sopra l’altra.

Poi Schliemann continuò a scavare finché riuscì a portare alla luce quelli che ritenne i bastioni della città perduta, alti sette metri, le stesse mura dalle quali Paride aveva scrutato l’avanzare delle armate greche, venute a vendicare il ratto di Elena, dove erano morti tanti valorosi eroi.

Il 14 giugno 1873, dopo due anni di lavoro, uno straordinario premio veniva a compensare il lavoro di Schliemann, un incredibile tesoro di 8.700 pezzi di gioielli d’oro tra cui il pezzo più bello era costituito da un diadema composto da 16.000 lamine d’oro puro.

Ma Schliemann si era sbagliato, la città sepolta che aveva trovato non era Troia, ma un’altra città, ancora più antica.

Gli studiosi oggi ritengono infatti che la Troia omerica venne distrutta circa nel 1200 a.C. e l’hanno identificata col terzo strato di rovine, a partire dall’alto, trovate da Schliemann, mentre il tesoro ritrovato apparteneva a un’altra città, sepolta vicino alla base dell’Hissarlik.

Anni dopo, Schliemann riconobbe l’errore, ma gli archeologi gli hanno attribuito il merito non solo di aver rinvenuto la Troia omerica, ma anche di aver trovato una città più antica, risalente all’età del bronzo.