Il 2020, è doppiamente l’anno di Steve McQueen. L’iconico attore americano nasceva giusto 90 anni fa a Beech Grove cittadina dell’Indiana, il 24 marzo 1930. Si spense 40 anni fa, il 7 novembre 1980 a Ciudad Juárez, nello stato messicano di Chihuahua.

Una vita relativamente breve 50 anni, ma vissuta intensamente, spericolata, sempre al limite in ogni senso, anche della velocità pura in gara con moto e auto, provando emozioni forti e trasportandole poi nei film. Emozioni e personaggi che solo lui poteva interpretare in maniera così magistrale e intensa, da anti-eroe, proprio perchè le aveva vissute in prima persona, tra vita difficile, carcere, fughe rocambolesche alla ricerca della libertà, tra moto e auto sempre alla massima velocità. Bello, dannato e sciupafemmine. Ancora oggi a 40anni dalla sua scomparsa è riconosciuto come una delle più grandi star di sempre del cinema, per la sua capacità di essere vitale, dinamico, perfezionista nei personaggi cui dava anima e carattere.

Una vera icona di stile, ancora oggi, eleganza innata e semplice, mai ostentata, pochi colori e possibilmente chiari, accessori sempre azzeccati, occhiali da sole, per quello che ai giorni nostri sarebbe definito “basic”, e con un carisma che ha pochissimi eguali nella storia. Diversi i personaggi che ha interpretato e che sono rimasti nella memoria di tutti, tra tutti Virgil Hilts in “La grande fuga” con la sua mitica corsa in moto e l’ergastolano Henri Charriere in Papillon con Dustin Hoffman.

Nato come Terence Steven “Steve” McQueen, non ha mai avuto una vita facile e serena. Figlio non desiderato di un ex marinaio, stuntman giocatore d’azzardo e alcolizzato e di una giovane ragazza che venne presto abbandonata. La madre non si prederà mai cura del figlio e passa poi di storia in storia e lui spesso subisce maltrattamenti dagli uomini che la affiancano. Non riuscendo mai a stabilire un vero e proprio rapporto lei.

Fu mandato così a vivere a Slater, nel Missouri, presso uno zio. A 12 anni tornò a vivere con la madre, che nel frattempo si era trasferita a Los Angeles, in California. Risse e altro erano all’ordine del giorno. A 14 anni era già membro di una gang di strada e la madre lo spedì in una scuola di correzione. Uscito non senza problemi dall’istituto, a 17 anni Steve McQueen si arruolò nel corpo dei Marines, prestando servizio dal 1947 al 1950. Il suo carattere ribelle lo porta a passare tante giornate in cella, viene però congedato con onore per aver salvato dall’assideramento diversi commilitoni durante un’esercitazione al Polo Nord.

Terminato il periodo di ferma cercò di riallacciare il rapporto con la madre ma non ci riuscì. Nel 1952, grazie a un prestito fornito agli ex soldati, incominciò a frequentare i corsi di recitazione presso l’Actor’s Studio di Lee Strasberg a New York. Dei 2000 candidati presentatisi alle selezioni, solo lui e Martin Landau (Spazio 1999, Ed Wood e Tucker) riuscirono a entrare nella scuola. Tre anni dopo McQueen debuttava a Broadway. Fa il suo esordio nel mondo del cinema con un piccolo ruolo nel film Lassù qualcuno mi ama del 1956 con protagonista Paul Newman.

Il primo ruolo da protagonista lo ottiene con l’horror fantascientifico “The blob”, che avrà un successo incredibile, ma passerà alla storia più per “il blob”, che per la sua interpretazione.

La CBS lo scrittura per interpretare Josh Randall, per la serie western “Wanted Dead or Alive”, cacciatore di taglie affascinante, duro e solitario, che lo lancia prsso il grande pubblico americano. Nel frattempo nascono i primi dissidi con gli addetti ai lavori, stanchi del suo brutto carattere, se non pessimo.

La sua prima grande interpretazione può essere considerata quella del cowboy Vin nel western I magnifici sette (1960), film corale con altri grandi interpreti. La sua definitiva consacrazione, arriva tre anni dopo grazie al kolossal “La grande fuga”, diretto da John Sturges, in cui interpretò il ruolo dell’audace e spericolato capitano Virgil Hilts, uno dei personaggi che lo resero maggiormente celebre nel mondo. I suoi tentativi di fuga dal campo di prigionia, e la fuga spericolata dai nazisti con la sua Triumph TR6 Trophy. Sono tra le scene più iconiche della storia del cinema. Infila diversi successi, “L’ultimo tentativo” e “Cincinnati kid”, “Nevada Smith” e “Quelli della San Pablo” del 1966, che gli regala la nomination all’Oscar. Nel 1968 con “Il caso Thomas Crown” e “Bullit” manda in tilt i botteghini. In quest’ultimo fa diventare icone i saliscendi di San Francisco e la Ford Mustang GT. Poi ripresi in altri film e telefilm.

Scampa miracolosamente alla strage in cui muore Sharon Tate, a Los Angeles.

Diventa cintura nera di karate, allenandosi con Chuck Norris, diventandone grande amico, e conoscendo per suo tramite anche Bruce Lee. L’affetto che li lega è forte e grande, quando Lee muore, McQueen e Norris portano la bara a spalla.

Nel 1971, unisce le sue due passioni cinema e auto, girando “Le 24 ore di Le Mans”, pellicola che decreta però il fallimento della sua casa di produzione per gli eccessivi costi; e per il suo abuso di droghe che lo rende ingestibile. Interpreta il western “L’ultimo buscadero” e il poliziesco “Getaway”. Nel 1973 è il coprotagonista con Hoffman di “Papillon”, che racconta la sua rocambolesca fuga dalla durissima colonia penale della Guyana francese. La sua interpretazione è straordinaria, ma la sua storia tormentata e turbolenta con Ali MacGraw ex del patron della Paramount, lo mette fuori causa per l’Oscar. Nel 1974 gira con Paul Newman, in “L’inferno di cristallo”, grande successo commerciale, dopo il quale si ritira praticamente a vita privata a Malibù. A soli 44 anni praticamente chiude la sua carriera cinematografica, rifiutando copioni importanti e contratti milionari.

L’infanzia difficile rimane per lui un peso da sostenere, che non riesce a lenire nemmeno abusando dell’alcool e di altro. Si dimostra generoso, soprattutto con i ragazzi del riformatorio di Chino, dove aveva passato l’adolescenza. In declino, nel 1978 divorzia anche da Alì MacGraw.

Si spegne poco più che cinquantenne il 7 novembre 1980 in Messico, ammalato di un tumore allo stomaco e ai polmoni. Probabilmente dovuto all’esposizione dei gas e dell’amianto presenti in grandi quantità sulle piste e nelle auto da corsa del periodo.

Le sue ceneri sono state sparse nell’Oceano Pacifico, la sua stella sulla Walk of Fame è l’unica montata al contrario.

Tra i tanti omaggi in Italia quello di Vasco Rossi, in “Vita Spericolata” e nella musica pop-rock quello del gruppo dei Prefab Sprout, con l’album “Steve McQueen” del 1985.