Francesco Savio, pseudonimo di Francesco Pavolini, nato a Roma il 15 dicembre 1925, fu uno dei maggiori storici del periodo del muto in Italia e del cinema realizzato fino agli anni Cinquanta.
Figlio del poeta e regista teatrale Corrado Pavolini, fu da sempre interessato al cinema e al teatro acquisendo anche il suo pseudonimo dal personaggio di uno spettacolo teatrale, che era il Savio di Ciascun a suo modo di Pirandello.
Nel 1945 si iscrisse all’Accademia nazionale d’arte drammatica di Silvio D’Amico e si diplomò nel 1948, poi cominciò la sua attività come aiuto regista e critico cinematografico e teatrale per riviste come Teatro, Cinema e Cinema nuovo.
Come regista diresse alcuni spettacoli teatrali e, a partire dagli anni Cinquanta, lavorando presso la sede di Roma della Radio Rai, si occupò di diversi spettacoli e adattamenti per la televisione e la radio. Tra i programmi radiofonici Rai curò Il girasole, con Francesco Forti, trasmesso dal 1973 al 1975, I tre moschettieri, con Andrea Camilleri e Flaminio Bollini, trasmesso in 20 puntate tra il novembre e il dicembre del 1973, e Il secondo cinema italiano, trasmesso in 15 puntate tra il luglio e l’agosto del 1975 e poi, in replica, tra il febbraio e l’aprile del 1977.
Per la televisione lavorò soprattutto a commedie e programmi culturali, occupandosi spesso anche della scrittura dei soggetti e dei testi.
La sua attività principale rimase quella di storico e critico cinematografico, divenne il direttore della sezione Cinema dell’Enciclopedia dello Spettacolo e, con la scomparsa di Silvio D’Amico nel 1955, caporedattore.
Curò alcune retrospettive alla Mostra del cinema di Venezia e i cataloghi come Buster Keaton (1963); Esperienze del cinema sovietico 1924-1939 (1963); La parola e il silenzio. Il film scandinavo dalle origini al 1954 (1964); La scuola scandinava 1907-1954. Retrospettiva del cinema danese, finnico, norvegese e svedese (1964) e a rubriche culturali televisive come Almanacco e Settimo giorno.
Nel 1972 pubblicò Visione privata. Il film “occidentale” da Lumière a Godard, dove trattò registi e autori in maniera proporzionale alla quantità di scritti critici su di loro, attuando un recupero critico e affettivo dei film visti durante l’infanzia e l’adolescenza e seguendo le correnti del cinema occidentale, la via francese da Lumière a Jean-Luc Godard, la via americana da David W. Griffith a Orson Welles, la via italiana dal muto al Neorealismo, la via tedesca dall’Espressionismo a Max Ophuls; la via scandinava dalle origini a Ingmar Bergman e la via britannica del periodo di Alfred Hitchcock e Ewald A. Dupont, per fare giustizia dei luoghi comuni del cinema anteriore a Godard.
Nel 1973 Savio accettò la richiesta di Renato Ghiotto di collaborare alla rubrica di critica cinematografica de Il mondo in cui, analizzando determinati film, espose anche le sue teorie sul cinema che poi inserisce in una prospettiva storica.
Per Sonzogno nel 1975 pubblicò Ma l’amore no. Realismo, formalismo, propaganda e telefoni bianchi nel cinema italiano di regime (1930-1943), contenente le schede analitiche di 720 film scelti tra quelli realizzati in Italia in quel periodo storico, idea approfonditò in Cinecittà anni Trenta. Parlano 116 protagonisti del secondo cinema italiano, edita postuma in tre volumi da Bulzoni nel 1979, nelle interviste considerate più importanti tra quelle fatte da Savio ai protagonisti del cinema italiano di quegli anni e che erano state mandate in onda, per conto di Radio Rai, tra il 1975 e il 1976.
Con queste opere Savio, esperto del cinema italiano degli anni Trenta, contribuì notevolmente a far conoscere questo periodo storico, fino allora poco trattato per ragioni politiche.
Nel 1976, a 53 anni, il grande critico decise di mettere fine alla propria vita e, dopo aver inviato a Il Messaggero il suo necrologio, si suicidò con il gas il 26 ottobre nel suo appartamento di Roma.