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La Campania è una terra ricca di miti, misteri, tradizioni e di leggende popolari che sono unite dall’incontro sacro e profano, dando origine a storie dagli aspetti affascinanti.

Questo forte interesse è legato ai culti religiosi di origine pagana, che sorgevano lungo le coste del Mediterraneo e furono il principio base di tutte le società antiche, greche e romane, che edificarono templi votati agli Dei dell’Olimpo, favorendo la consultazione degli oracoli, affidati alla maestria delle sacerdotesse che avevano il compito di interpretare il destino degli uomini.

La Sibilla Cumana è stata la figura più influente della storia antica tra queste donne, la cui fama è divenuta esponenziale, grazie al successo dell’Eneide di Virgilio che ne decantava nei suoi versi, l’arte profetica, catturando l’attenzione e la curiosità degli Imperatori romani e dei nobili patrizi, che raggiungevano l’Acropoli di Cuma pronti a interrogare gli oracoli.

Alla pari della popolarità della sacerdotessa corrispondeva la fortuna del centro cittadino, che divenne ben presto meta di pellegrinaggi e di fasti antichi.

La Sibilla era una vergine che aveva il dono della preveggenza, e poteva vedere in anticipo un evento e indicarne l’esito positivo o negativo, riportando al questuante le parole, dalle non semplici interpretazioni, che rappresentavano il responso più complesso e temuto dalle popolazioni greco-romane.

Questa donna amava ritirarsi in grotte e antri scavate nella roccia, lontane dal clamore e dagli schiamazzi della città e la sua dimora sotterranea, rappresentavano un ambiente ricco di suggestioni spirituali, le cui fiaccole, predisposte in ogni angolo, illuminavano l’ingesso ai visitatori permettendo loro di raggiungere il cuore dell’antro e di stare al cospetto della Sibilla.
Giunti a lei, davanti al suo trono, la donna ascoltava silenziosamente il suo questuante che poneva la domanda, fonte di dubbio.

Secondo la tradizione, la Sibilla prima di profetizzare il suo responso, si incamminava lungo le tre grandi vasche presenti nella grotta e si immergeva nelle acque e, compiuta la cerimonia, si sedeva sull’alto trono e interrogava l’oracolo, poi emetteva il verdetto finale riportato sulle foglie di palma, mosse poi dal vento suscitato da Apollo.

Secondo la tradizione gli oracoli, redatti in greco su foglie di palma, erano i celebri Libri Sibillini che rappresentavano i volumi più elevati dell’antichità, consultabili in caso di estrema necessità, che preannunciavano eventi futuri e vi potevano accedervi solo alcuni membri sacerdotali legati al culto di Apollo e custoditi gelosamente nel tempio di Giove Capitolino.

Questi importanti volumi bruciarono nel tragico incendio del Campidoglio dell’83 a.C. e successivamente furono ricomposti, con tutti gli oracoli presenti nella Magna Grecia e collocati dallo stesso Imperatore Augusto, nel tempio di Apollo sul Colle Palatino, poi nel IV secolo andarono distrutti dal Generale romano Stilicone.

Secondo una leggenda, i Libri Sibillini vennero presentati a Tarquino Prisco dalla Sibilla, chiedendo un compenso per i nove volumi, ma il re rifiutò l’offerta in quanto li reputò costosi, lei a quel punto bruciò i primi tre libri e poi altri tre, finché il re, considerando la preziosità di quei volumi, comprò gli ultimi tre al prezzo di nove.