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Vittorio Cottafavi, nato a Modena il 30 gennaio 1914, nella sua lunga carriera tra cinema e tv ebbe un forte interesse per l’interiorità dell’uomo e i segreti della coscienza, sotto il segno dei valori più autentici del cattolicesimo e del liberalismo.

Cresciuto in ambiente borghese, Vittorio passò la prima infanzia a Torino e si trasferì a Roma nel 1921, dove sviluppò una solida conoscenza della letteratura e della filosofia e si iscrisse al Centro sperimentale di cinematografia nel 1935.

In seguito fu assistente di Mario Bonnard, Camillo Mastrocinque, Goffredo Alessandrini e Carlo Campogalliani e partecipò alla realizzazione di Quelli della montagna (1943) di Aldo Vergano, poi esordì nella regia con I nostri sogni (1943), tratto da un’opera di Ugo Betti, una commedia con un raffinato stile di regia aderente al testo.

Nell’Italia del dopoguerra il giovane regista collaborò con Vittorio De Sica per La porta del cielo (1945) e con Vergano per Il sole sorge ancora (1946) e nel 1949 riuscì a realizzare La fiamma che non si spegne, un film su Salvo D’Acquisto con intenti celebrativi nei confronti dell’arma dei Carabinieri, accolto dall’ostilità della critica che vi ravvisò segnali di simpatia verso il fascismo Nonostante le difficoltà, Cottafavi realizzò nei primi anni Cinquanta da un lato film di genere storico-avventuroso, dall’altro opere sulla condizione della donna nella società contemporanea, come Traviata ’53 (1953) ricco di soluzioni linguistiche in direzione di un cinema introspettivo.

Il genere storico-avventuroso, del quale è un esempio Il cavaliere di Maison Rouge (1953), tratto da un romanzo di Dumas, gli permise di disseminare le ricostruzioni d’epoca di osservazioni ironiche per raggiungere uno straniamento d’ispirazione brechtiana.

Questo procedimento diventò più esplicito in film di ambientazione storico-mitologica, come La rivolta dei gladiatori (1958), La vendetta di Ercole (1960) ed Ercole alla conquista di Atlantide (1961) e in maniera ancora più evidente ne’ I cento cavalieri (1964), il racconto di un assedio nella Spagna medievale che interseca fatti storici precisi con visioni della contemporaneità.

In seguito Cottafavi contino la sua attività di regista per la televisione, iniziata nel 1957 e confermata nel 1959 da un contratto con la Rai, stimolato da un costante interesse per l’evoluzione tecnologica e da una puntuale riflessione teorica sulla differente percezione del cinema e della televisione.

La produzione per la Rai vide L’avaro (1957), Hänsel e Gretel (1957), Casa di bambola (1958), Umiliati e offesi (1958) e Le notti bianche (1962), impostati su un’accurata messa in scena aderente alla struttura drammatica e su un impiego fantasioso di espedienti linguistici visivi. L’inserzione di notazioni critiche spesso dirette esplicitamente al pubblico.

Il taglio del bosco (1963), tratto dal romanzo di Carlo Cassola, fu il primo telefilm realizzato con riprese in esterni eefficace nell’unione tra la visione oggettiva sull’attività di un gruppo di tagliatori di legna e l’approfondimento di una dimensione morale.

Seguirono, tra gli altri, La follia di Almayer (1971), A come Andromeda (1972), Con gli occhi dell’Occidente (1979), Maria Zef (1981) e Il diavolo sulle colline (1985) e la trilogia del teatro antico, Le Troiane (1967), Antigone (1971) e I Persiani (1975) dove i classici non sono attualizzati quanto piuttosto resi problematici nei nodi esistenziali e morali, e quindi vivi e interessanti nella loro dimensione drammatica.

Vittorio Cottafavi morì ad Anzio il 14 dicembre 1998.