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L’imperatore che portò il culto del Sole a Roma…

Marco Aurelio Antonino Augusto, noto come Eliogabalo, nacque attorno al 203 d.C da Sesto Vario Marcello e da Giulia Soemia Bassiana.

La sua famiglia era molto influente, il padre era un membro della classe degli Equites, ma in seguito fu elevato al rango di senatore per una serie di meriti politici e militari.

Nel 271 l’imperatore Caracalla venne ucciso dalla sua guardia pretoriana e uno dei suoi generali, Macrino, ne prese il posto e si preoccupò di annientare tutti i possibili pretendenti al trono e di assicurare la successione a suo figlio Diadumeniano.

La famiglia di Eliogabalo apparteneva ai possibili avversari, e per questo l’imperatore condannò Giulia Mesa, le sue due figlie e il nipote, lo stesso Eliogabalo, a essere esiliati in una tenuta ad Emesa, in Siria.

Giulia Mesa non si rassegnò al destino e organizzò un audace piano, insieme al suo fidato consigliere nonché tutore di Eliogabalo, Gannys, per elevare Eliogabalo al trono imperiale.

La donna iniziò a dichiarare pubblicamente che Eliogabalo era il figlio illegittimo dell’ex imperatore Caracalla, notizia che attrasse l’attenzione dei soldati e dei senatori romani che avevano giurato fedeltà al vecchio imperatore.

Giulia Mesa corruppe, grazie alla sua notevole ricchezza, anche la III legione, che giurò fedeltà a Eliogabalo e promise di difenderlo a tutti i costi.

All’alba del 16 maggio del 218 d.C., il comandante della legione, Publio Valerio Comazon, dichiarò Eliogabalo Imperatore e, il ragazzo, per rafforzare la sua legittimità attraverso la propaganda, assunse i nomi di famiglia di Caracalla, come Marco Aurelio Antonino.

Macrino, comprendendo il pericolo, inviò subito un esercito guidato dal suo prefetto del Pretorio, Ulpio Giuliano, per schiacciare la ribellione, ma i legionari che avrebbero dovuto combattere Eliogabalo si unirono spontaneamente alla sua fazione, tradendo i loro comandanti.

Gli ufficiali dissidenti vennero uccisi e Macrino inviò allora una serie di lettere al Senato denunciando Eliogabalo come usurpatore e sostenendo che fosse pazzo, cosi il Senato dichiarò guerra sia a Eliogabalo che alla madre.

Ma nonostante il Senato avesse appoggiato Macrino, lui e suo figlio vennero sconfitti l’8 giugno del 218 d.C, nella battaglia di Antiochia dalle truppe di Eliogabalo comandate da Gannys.

Alla fine Macrino fuggì verso l’Italia, opportunamente travestito, ma fu intercettato nei pressi della città di Calcedonia, portato nella regione della Cappadocia e lì giustiziato e suo figlio Diadumeniano cercò di mettersi in salvo presso la corte dei Parti ma fu catturato vicino alla città di Zeugma, e messo a morte.

Eliogabalo dichiarò che la data della vittoria di Antiochia corrispondeva ufficialmente all’inizio del suo regno e assunse i titoli imperiali senza aspettare l’approvazione del Senato, poi passò l’inverno del 218 d. C in Bitinia a Nicomedia.

Intanto Giulia Mesa fece inviare a Roma un dipinto del Dio Elagabal, con l’ordine che venisse appeso vicino alla statua della Dea Vittoria in Senato e i senatori furono costretti a offrire le loro preghiere e i loro sacrifici ad entrambi gli Dei.

Le legioni furono costernate dal comportamento del nuovo imperatore e ben presto si pentirono di averlo supportato.

Mentre Eliogabalo era in viaggio verso Roma, scoppiarono rivolte presso la IV legione, istigate dal comandante Gellio Massimo, ma la sommossa fu soffocata e la legione fu sciolta.

Quando Eliogabalo, con la sua corte, raggiunse Roma nell’autunno del 219 d. C, Comazon e altri alleati di Giulia Mesa ricevettero premi ed ebbero posizioni politiche di alto rilievo, con la perplessità di molti senatori che non li consideravano affatto degni di tali privilegi. Comazon, ad esempio, venne nominato per due volte console e per tre volte prefetto della città di Roma.

La madre e la nonna di Eliogabalo divennero le prime donne a poter entrare in Senato e ricevettero allo stesso modo dei titoli senatoriali, Soemia venne nominata come Clarissima e Mesa venne nominata Madre dell’accampamento, dell’esercito e del Senato.

Sin dal regno di Settimio Severo, il culto del Sole si era diffuso sempre di più in tutto l’impero ed Eliogabalo vide la rapida crescita del nuovo credo come un’opportunità per lanciare la venerazione di Elagabal come divinità principale del Pantheon romano.

Il Dio Elagabal venne ribattezzato Deus Sol Invictus e onorato anche più di Giove, con la costruzione di un sontuoso tempio chiamato Elagabalium, che fu eretto sul lato est del colle Palatino, dove era rappresentato il Dio vestito di nero con i simboli tipici della città di Emesa.

Nel 211 DC le eccentricità di Eliogabalo avevano pesantemente scontentato la guardia pretoriana, che si vergognava di servire un tale imperatore.

Quando la nonna di Eliogabalo, Giulia Mesa, si rese conto che il malcontento stava superando i livelli di guardia, decise, con la madre di Eliogabalo, di contenere il ragazzo e anche di cercare un successore.

La scelta del nuovo imperatore cadde sul nipote di Avita Mamea, il tredicenne Alessandro Severo, poi Eliogabalo accettò e Alessandro condivise il consolato con lui.

Tuttavia, Eliogabalo iniziò a sospettare che qualcuno stesse tramando per spodestarlo in favore di Alessandro e il suo comportamento nei confronti del cugino cambiò radicalmente, così decise di rimuovergli tutti i titoli onorifici, revocò il suo consolato e fece circolare la notizia che il giovane stava per morire, per vedere come avrebbero reagito i pretoriani.

Ne seguì una grande sommossa e la guardia dell’imperatore chiese di poter vedere di persona sia Eliogabalo che Alessandro nel campo Pretorio.

Eliogabalo fu costretto ad accettare la richiesta dei pretoriani e l’11 marzo del 222 d.C., si presentò assieme alla madre, Giulia Soemia, e al cugino, presso il campo Pretorio dove, al loro arrivo, i pretoriani cominciarono ad acclamare Alessandro come imperatore.

Infuriato, Eliogabalo ordinò l’arresto e l’esecuzione sommaria di chiunque avesse preso parte a questa dimostrazione, ma i membri della guardia pretoriana attaccarono Eliogabalo e sua madre.

Eliogabalo tentò di fuggire, ma venne rapidamente catturato e ucciso con sua madre.

Dopo il suo assassinio, i fedeli a Eliogabalo vennero deposti o uccisi, i suoi riti religiosi annullati e il culto di Elagabal abolito, mentre la grande pietra che rappresentava il Dio venne rispedita alla città di Emesa.