Il 15 ottobre 1923 nasceva a Cuba uno dei più grandi narratori del Novecento italiano, Italo Calvino, che ha lasciato un segno indelebile nella letteratura con opere come Il barone rampante e Se una notte d’inverno un viaggiatore, ma fu anche un raffinato ricercatore della tradizione fiabesca italiana con le sue Fiabe italiane…

Le fonti della tradizione fiabesca italiana, che soffrono per l’assenza di grandi studiosi ottocenteschi e di una raccolta nazionale, hanno lasciato alla storia della letteratura le prime grandi raccolte di fiabe che la storia conosca.

Giovan Francesco Straparola fu l’autore della prima raccolta di fiabe conosciute: Le piacevoli notti,  edite per la prima volta nel 1550 con 25 racconti e nell’edizione definitiva del 1553 con 73, ispirati al Decamerone a cui rimanda la struttura a cornice, ma sono solo in parte vere e proprie fiabe, tra cui una versione di Pelle d’asino e del Gatto con gli stivali.

Un secolo dopo, tra il 1634 e il 1636, uscì a Napoli una delle più importanti opere relative alla storia della fiaba con i cinque volumi de Lo cunto de li cunti a firma di Giambattista Basile, con 49 fiabe, più un racconto di cornice e le prima documentazioni di fiabe famosissime come Cenerentola.

L’opera di Basile era  scritta in dialetto napoletano, ma secondo l’uso barocco, e il suo unico fine  era l’intrattenimento lieve e senza pensieri delle corti e dei salotti napoletani, ma ebbe un successo praticamente planetario per l’epoca, Perrault probabilmente lo usò come fonte, i Grimm ne tradussero alcune fiabe, inoltre il Cunto venne tradotto in bolognese, toscano, tedesco e inglese.

Quando il successo dei Grimm nell’Ottocento investì l’intera Europa, in Italia non ci fu una ricerca per la studio e valorizzazione delle fiabe tradizionali, ma furono paradossalmente gli stranieri inglesi e tedeschi, come R. H Busk in Lazio e Laura Gonzenbach in Sicilia,  a incominciare un lavoro filologico sul folclore italiano.

Solo con la fine dell’Ottocento alcuni studiosi italiani, tra cui Giuseppe Pitrè per la Sicilia e la Toscana, Domenico Bertoni per Venezia, Domenico Comperetti per il Piemonte, Gherardo Nerucci per la Toscana e Vittorio Imbriani per Firenze e Milano,  pubblicarono le loro raccolte, frutto di ricerche e studi locali e regionali.

Ma mancava un lavoro collettivo che rappresentasse l’intera Penisola e da lì Italo Calvino nel 1956 si cimentò nell’imponente scrittura delle Fiabe italiane, seguendo il modello costituito proprio dai Grimm per il trattamento dei testi, attinti alle raccolte dell’Ottocento e del Novecento e da lui sottoposti a rimaneggiamenti profondi, per cui il risultato è un’opera con valenza letteraria e non documentaria.

Il lavoro di Calvino risente delle raccolte ottocentesche, infatti sono molti i testi della tradizioni siciliana, veneta e toscana, mentre sono poche le testimonianze di altre regioni, ma impegnò l’autore in una riflessione linguistica e filologica davvero notevole infatti dice nell’introduzione al lavoro che “Le favole italiane sono prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi;

sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che è il farsi di un destino: la giovinezza, dalla nascita che porta in se un auspicio o una condanna, al distacco della casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano.

E in questo sommario disegno, c’è tutto: dalla persecuzione dell’innocente al suo riscatto, alla fedeltà a un impegno, alla purezza di cuore come virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo, alla bellezza come segno di grazia, l’infinita metamorfosi di ciò che esiste”.

Leggere le Fiabe italiane è un modo oggi per trovare la tradizione fiabesca delle varie regioni, forse rimaneggiata, ma ricca e complessa come quella tedesca.