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A Barcellona nelle Olimpiadi 1992 il basket venne dominato dal Dream Team degli Stati Uniti, un gruppo che, oltre  a Michael Jordan e al suo amico Scottie Pippen dei Chicago Bulls, comprendeva nomi come Larry Bird dei Boston Celtics, Charles Barkley dei Phoenix Suns, Patrick Ewing dei New York Knicks, Clyde Drexler dei Portland Trail Blazers, John Stockton e Karl Malone degli Utah Jazz, Chris Mullin dei Golden State Warriors, David Robinson dei San Antonio Spurs e il collegiale Christian Laettner.

Il gruppo era guidato da Magic Johnson, leader carismatico determinato a tornare in campo dopo aver dichiarato la sua sieropositività il 7 novembre 1991 e riuscì ad abbattere i pregiudizi verso l’Aids con una comunicazione trasparente, facendo informazione sul tema.

L’ignoranza sulla distinzione tra AIDS e HIV diminuì con il tempo anche grazie alla dedizione alla causa di Johnson, un uomo capace di parlare alle persone, ribaltare i luoghi comuni, scuotere le coscienze e dare un messaggio di speranza.

Allenatore del Dream Team era Chuck Daly che definì quell’esperienza “Un viaggio con 12 rockstar. Era come se avessero messo insieme Elvis e i Beatles”.

I professionisti della NBA, alla loro prima apparizione ai giochi olimpici, vinsero otto partite su otto con uno scarto medio di 44 punti, mentre la finale contro la Croazia del talentuoso Dražen Petrović e dell’astro nascente Toni Kukoč terminò con il punteggio di 117-85., con  una medaglia d’oro conquistata dopo due settimane di pura esibizione con protagonisti i giocatori e le loro storie.

Durante gli allenamenti a porte chiuse il gruppo cercò di trovata il giusto equilibrio di un gruppo composto da grandi personalità, come  Magic Johnson e Michael Jordan e, se il primo aveva contribuito a rilanciare l’immagine della Lega dopo anni bui, il secondo la stava proiettando in un grande cambiamento, grazie ad una mentalità vincente fuori dal comune e una leadership in grado di motivare i compagni di squadra.

Il Dream Team diventò leggendario per la capacità di unire le gesta di grandi atleti a messaggi di inclusione sociale e contribuì in modo decisivo a promuovere l’immagine della NBA in tutto il mondo, al punto che Commissioner David Stern intuì che la crescita del mondo del basket passava dall’allargamento del bacino di utenza oltre gli Stati Uniti.

L’apertura a giocatori africani, asiatici ed europei permise alla Lega di diventare il primo fenomeno sportivo globale, oltre all’arrivo di leggende come  Shaquille O’Neal, Kobe Bryant e LeBron James e  niente fu più come prima nel mondo del basket americano e non solo.