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L’anno bisestile è formato da 366 giorni, uno in più dei normali 365, così il 2024 è un anno bisestile, con il 29 febbraio che chiude il secondo mese dell’anno. 

Gli anni precedenti a quello che segna l’inizio di un nuovo secolo sono bisestili soltanto se si possono dividere per 400 e, se il 2000 è stato un anno bisestile, il 2100 non lo sarà.

La formula per sapere se un anno è bisestile è solo se le ultime due cifre sono divisibili per quattro, oppure se l’intero anno è divisibile per 400.

Un anno solare, cioè il tempo che la Terra impiega a fare un giro completo intorno al Sole, non è divisibile in periodi di 24 ore, cioè in giorni, infatti dura circa 365 giorni e 6 ore ma, se tutti gli anni avessero 365 giorni, ogni quattro anni il calendario si ritroverebbe in anticipo di un giorno.

Grazie all’anno bisestile, il calendario aggiunse un giorno proprio quanto l’anticipo accumulato raggiunge le 24 ore.

Un altro problema è dovuto al fatto che l’anno astronomico non dura esattamente 365 giorni e 6 ore, ma qualche minuto in meno, per la precisione 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi e, anche utilizzando gli anni bisestili, dopo 400 anni il calendario si troverebbe sballato, in ritardo di circa tre giorni.

Per risolvere il problema, gli anni precedenti a quello di inizio secolo, che sono quelli divisibili per cento, non sono considerati bisestili a meno che non siano divisibili anche per 400.

In questo modo, ogni 400 anni ci sono 3 anni bisestili in meno, eliminando i tre giorni di anticipo.

Quasi tutti i calendari elaborati nel corso della storia hanno qualche sistema per correggere il fatto che l’anno solare non si possa dividere esattamente in giorni.

L’osservazione del sole e delle stelle è stata una delle prime scienze a essere sviluppate in tutte le civiltà e già molti secoli prima di Cristo gli astronomi conoscevano bene i tempi della rivoluzione della Terra intorno al Sole.

Nel caso del calendario attuale, l’origine dell’anno bisestile risale a Giulio Cesare che nel 46 A. C cerco di mettere fine alle caotica situazione del calendario romano, che allora durava 355 giorni.

Per compensare la differenza con l’anno solare, spesso veniva aggiunto al calendario un mese intercalare di durata variabile, di solito una ventina di giorni tra febbraio e marzo, così  la regola prevedeva che a un anno da 355 giorni dovesse fare seguito uno da 377 giorni, a cui seguiva di nuovo uno da 355 e poi uno da 378, per poi ricominciare il ciclo.

Ma l’autorità che governava i calendari, il Pontefice Massimo, era una figura politica e spesso accadeva che il mese intercalare venisse accorciato o allungato, inserito o dimenticato, in base all’interesse dei Pontefici o dei suoi alleati.

Se ad esempio il Pontefice Massimo desiderava ritardare un’elezione prevista per marzo, poteva inserire dopo febbraio un mese intercalare molto più lungo.

Cesare, con l’aiuto di matematici ed esperti, alcuni dei quali conosciuti durante la sua campagna in Egitto, progettò un calendario diviso in anni di 365 giorni, e di 366 ogni quattro anni.

I romani non contavano i giorni del mese come si fa oggi, ma usavano un complicato sistema in cui ogni mese veniva diviso in calende, idi e none.

Nel calendario giuliano si stabilì che negli anni da 366 giorni, il giorno in più dovesse essere inserito a febbraio il sesto giorno prima delle calende di marzo, cioè il 24 febbraio.

Legalmente, il 24 febbraio veniva considerato un giorno doppio, formato da 48 ore in questi anni, quindi, c’erano due sesti giorni prima delle calende di marzo,  da cui bisextus (due volte il sesto) e quindi, bisestile.

Il primo 29 febbraio, cioè il giorno in più secondo i moderni calendari, comparve nel Medioevo, quando i giorni dei mesi cominciarono ad essere contanti in modo sequenziale e non più alla maniera romana.

La riforma di Cesare aveva trascurato che un anno solare non dura esattamente 365 giorni e sei ore e il  calendario giuliano, quindi, si trovava in ritardo di tre giorni ogni 400 anni.

Tra guerre civili, caduta dell’Impero romano, invasioni barbariche ed epidemie di peste, nessuno fece caso a questo errore per circa un millennio e mezzo ma nel 1582 papa Gregorio XIII si accorse che quell’anno la primavera era cominciata l’11 marzo, dieci giorni in anticipo rispetto alla data dell’equinozio.

Gregorio decise di risolvere la questione con una drastica riforma, dopo venerdì 4 ottobre 1582 il calendario sarebbe saltato direttamente a sabato 15 e i dieci giorni di mezzo, non erano mai esistiti. Inoltre, per evitare di perdere altri dieci giorni, venne stabilito che gli anni multipli di cento sarebbero stati bisestili soltanto se fossero stati multipli anche di 400.