marino faliero il doge di donizetti

Uno dei dogi più noti della Venezia medievale…

Nato verso il 1285, Marino apparteneva ad una delle famiglie patrizie più illustri di Venezia, i Falier erano un antico Casato che era giunto in laguna dalla città di Fano.

Ricchissimo, con proprietà nel Padovano e nel Ferrarese ed una splendida Ca’ in Contrada dei Santi Apostoli,  il doge era socio in affari con il fratello Ordelaf e aumentò ulteriormente il potere della sua famiglia, che già aveva visto ben due Dogadi come  Vitale Falier Dodoni (1084-1095) ed il Doge Ordelaf Falier Dodoni, figlio di Vitale, (1102-1118).

Apprezzato dai suoi pari per l’intelligenza politica e l’esperienza di navigato uomo di Stato, alla morte del suo predecessore, Andrea Dandolo, l’11 settembre 1354,  con 35 voti su 41, Martino fu eletto al primo scrutinio Doge di Venezia.

Il suo breve dogado fu molto travagliato dato che il 4 novembre 1354 la flotta veneziana nell’Egeo, al comando di Nicolò Pisani, fu annientata a Portolongo dai Genovesi, con cui la Repubblica era in guerra.

La sconfitta condusse la città in una fase di ristagno economico, di cui il popolo, formato principalmente da artigiani ed i mercanti si lamentavano continuamente e dei quali il Dose Falier fu  il fautore di una guerra ad oltranza contro Genova.

Dal 1350 al 1355 Venezia passò un momento delicato dove non solo la guerra con Genova, ma anche quella con i veronesi e il terribile morbo della peste avevano creato gravi difficoltà economiche, con il commercio che languiva,

Così Marino Falier si mise a capo di una cospirazione per conquistare il potere, con Bertuccio Isarello, proprietario di navi, il suocero di questi, Filippo Calendario, tagliapietra e proprietario di barconi, e Vendrame, ricchissimo pellicciaio.

La data dell’insurrezione venne stabilita per il 15 aprile 1355 e prevedeva di irrompere in piazza San Marco, occupare il palazzo Ducale e poi uccidere tutti i membri dei vari Consigli,  con i loro figli.

Ma Vendrame, incautamente, si confidò con un amico, il nobile Nicolò Lion, che corse subito a riferire il nefasto progetto a Faliero il quale, restando impassibile, minimizzò la faccenda.

Lion però chiese al Doge la bontà di convocare il Minor Consejo e dopo alcune titubanze, Martino acconsentì.

Nel frattempo arrivò a palazzo Giacomo Contarini, accompagnato dal nipote Giovanni, che confermarono le dichiarazioni di Vendrame, avute da un loro confidente, Marco Negro.

Fu perciò tratto in arresto Filippo Calendario che, sotto la minaccia della tortura, confessò e la congiura ed i nomi dei congiurati, compreso quello del Doge.

Per la dignità della carica ricoperta, Martino fu posto agli arresti domiciliari, mentre tutti gli altri congiurati vennero incarcerati.

Il 16 aprile, il Consiglio dei Dieci si riunì e decretò che Bertuccio Isarello e Filippo fossero impiccati alle colonne rosse della loggia di palazzo Ducale, poi altri nove congiurati ebbero subito dopo la stessa sorte.

Il Doge venerdì 17 aprile fu riconosciuto colpevole di alto tradimento e condannato all’unanimità dei voti alla decapitazione, compiuta al tramonto in Palazzo Ducale.

La sera del 18 aprile, il cadavere venne caricato a bordo di una gondola e accompagnato alla sepoltura, in una cassa di pietra collocato all’interno della Cappella della Madonna della Pace e non all’interno della chiesa di San Zanipolo, dove erano sepolti i Dogi.

Caduta la Repubblica, nei primi anni dell’Ottocento la cassa fu utilizzata per qualche tempo come serbatoio dell’acqua per l’ospedale civile, trovando infine la sua collocazione, del tutto privo di stemmi ed iscrizioni, nella loggia esterna dell’antica sede del museo Correr, nota come il Fontego dei Turchi.