piatti burro cop

Una storia diventata leggenda, negli anni della seconda guerra mondiale, tra le terre dell’Emilia Romagna…

La famiglia Cervi, che viveva in Emilia Romagna nel primo dopoguerra, faceva capo ad Alcide, padre di sette fratelli e due sorelle,  che era riuscito ad emanciparsi dalla condizione di mezzadro con la moglie Genoveffa e a prendere un podere in affitto a Gattatico, vicino  a Campegine, nel 1934.

Lì i due sposi costruirono la loro vita, lavorando la terra assieme al figli Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore.

Ma i Cervi non erano solo dei contadini, erano antifascisti e questo, assieme all’amore per la letteratura, plasmò il cuore dei ragazzi.

In poco tempo, tutta la famiglia si unì nella lotta al fascismo, con altri oppositori del regime, trasformando casa Cervi in un punto di riferimento.

Fu quindi naturale la gioia della famiglie la sera del 25 luglio 1943, quando tornando dai campi seppero che Mussolini era stato deposto, arrestato e confinato in Abruzzo dalla monarchia, ormai era tempo di festeggiare dopo vent’anni di dittatura.

I fratelli Cervi decisero di cucinare quintali di pasta al burro e parmigiano per festeggiare la fine del fascismo.

E fu la prima pastasciutta antifascista, che venne cucinata a Gattatico e poi trasportata a Campegine. Nel tragitto la pasta divenne del tutto scotta e, nel frattempo, i contadini e contadine della zona  cominciarono a rubacchiarne un po’ per placare la fame.

Alla fine però, gran parte del pasto raggiunse la piazza di Campegine, dove la tradizione racconta che un piatto fu offerto anche a un giovane ancora vestito da balilla.

Ma Mussolini venne  presto liberato dai nazisti, che lo misero a capo della repubblica di Salò, consentendogli di riorganizzare le sue squadre con quelli che ancora gli erano fedeli..

I fascisti continuarono a occupare vaste parti del paese e tra novembre e dicembre del 1943 assaltarono casa Cervi alla ricerca degli antifascisti.

Ormai i sette fratelli partecipavano attivamente alla resistenza da mesi, sugli Appennini e nelle valli e ci fu uno scontro a fuoco ma poi il padre e i fratelli si arresero per salvare la casa.

Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore furono fucilati il 28 dicembre 1943, mentre Alcide rimase in carcere fino a quando questo non venne bombardato nel gennaio 1944 permettendogli di fuggire, ma tornato a casa apprese la notizia della scomparsa dei sette figli.

“Quando mi dissero della morte dei miei figli risposi: dopo un raccolto ne viene un altro” disse  Alcide “avevo cresciuto sette figli, adesso bisognava tirare su undici nipoti. Dovevano prendere ognuno il posto dei padri e bisognava insegnare tutto da capo. Erano piccoli, ma io gli insegnai lo stesso”.

Alcide Cervi morì il 27 marzo 1970, lasciando il ricordo di una famiglia diventata parte della storia dell’Italia moderna.