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I giochi olimpici australiani del 1956 si tennero a poca distanza temporale da uno degli eventi più noti della guerra fredda, la rivolta ungherese.

La cerimonia che apre i giochi si tenne infatti il 22 novembre, pochi giorni dopo l’archiviazione della questione ungherese da parte dell’Unione Sovietica, che distrusse le speranze nutrite dai ribelli verso il governo riformista di Imre Nagy, costretto a rifugiarsi nell’ambasciata Jugoslava e sostituito dal filo-sovietico Janos Kadar.

Quando a fine ottobre esplose la rivolta nelle strade di Budapest, la nazionale di pallanuoto allenata da Béla Rajki-Reich era impegnata nella preparazione atletica tra le colline che sovrastano la capitale. Il capitano della squadra, Dezso Gyarmati, si unì alle prime proteste, abbandonando momentaneamente il campo di allenamento.

Ma quando la squadra fu mandate in Cecoslovacchia per terminare la preparazione, Dezso e i suoi compagni persero ogni contatto con ciò che stava accadendo a Budapest e solo in terra australiana a fine novembre seppero di ciò che era avvenuto in Ungheria dopo la loro partenza.

Alla notizia molti giocatori e dirigenti decisero di non tornare in patria una volta terminati i giochi.

La nazionale ungherese, già detentrice di 3 medaglie d’oro olimpiche (1932, 1936, 1952) si presentava all’appuntamento australiano come la superpotenza indiscussa della pallanuoto mondiale e le uniche formazioni in grado di ostacolare la marcia magiara verso il quarto titolo olimpico erano  quelle della Jugoslavia e dell’Unione Sovietica.

I magiari superarono facilmente la fase a gironi e videro  materializzarsi la possibilità di riscattare la repressione della rivolta avvenuta solo un mese prima, ma il 6 dicembre l’avversaria da affrontare in semifinale era proprio l’Unione Sovietica.

Nel clima tesissimo del Crystal Palace di Melbourne gli ungheresi, consapevoli della loro superiorità tecnica rispetto agli avversari, tennero  fin da subito una strategia volta ad innervosirli.

I giocatori sovietici furono  irrisi e provocati  fin dai primi istanti della partita, concetto non difficile da attuare per una generazione di ungheresi cresciuti sotto il potere culturale, oltre che politico, dell’Urss.

Sotto l’aspetto tecnico, l’Ungheria si dimostrò nettamente superiore alla formazione sovietica e  il primo tempo termina 2 a 0 per i magiari, che avevano una difesa granitica e un attacco efficace sotto porta.

 Nel corso della partita, l’arbitro tentò di frenare la furia dei giocatori di entrambe le squadre con 5 espulsioni, ma ciò non bastò a contenere la tensione in vasca.

Durante il secondo tempo l’Ungheria si portò avanti di altri 2 goal, congelando il risultato sul 4 a 0 e, a pochi minuti dal fischio finale, il russo Valentin Propokov sferrò un pugno in pieno volto al magiaro Ervin Zàdor, che fu costretto ad abbandonare la partita.

Il capitano Gyarmati consigliò al compagno di uscire dalla piscina nuotando verso il lato opposto, dove si trova la tribuna con 8.000 spettatori e il ventunenne magiaro esce dall’acqua con il torace e il viso ricoperti di sangue, scatenando la reazione furiosa degli spettatori, per la maggior parte già schierati con gli ungheresi.

Lo scontro di Melbourne permise alla squadra ungherese di riscattare sul piano sportivo la repressione sovietica e di guadagnarsi sul campo il quarto oro olimpico contro la Jugoslavia, battuta 2 a 1, oltre ad aver riscattato l’orgoglio nazionale in un momento in cui quest’ultimo veniva messo a dura prova dagli eventi della storia.