Vita da doge sebastiano venier FB

ll Doge era la più antica e la più alta magistratura della Repubblica di Venezia, con un nome che derivava dal latino dux, che significa guida, capo ed era il titolo attribuito ai governatori delle province nell’impero bizantino, di cui il territorio della laguna di Venezia divenne parte quando, tra il VII e l’VIII secolo, si trova notizia dei primi dogi.

La sede del ducato di Venezia era allora Eracliana (Eraclea) poi Metamauco (Malamocco) e dall’810 Rivus Altus (Rialto), il primo nucleo dell’odierna Venezia.

Nei due secoli successivi, mentre la città divenne sempre più autonoma da Bisanzio, la figura del doge si consolidò definitivamente come carica elettiva e acquista sempre più potere, tra successioni ereditarie, conflitti e morti violente, ma fu resa stabile alla metà dell’VIII secolo, quando venne  eletto Teodato Ipato.

A partire dal secolo XI in una  Venezia ormai indipendente e in pieno sviluppo si pose fine a qualunque pretesa dinastica del doge, stabilendogli di affiancargli dei consiglieri, limitarne i poteri e vincolarlo, all’elezione, con il giuramento della Promissione, un meticoloso insieme di norme che ne regola dettagliatamente il comportamento pubblico e privato.

Eletto con una procedura complicatissima dal Maggior Consiglio, l’assemblea plenaria della nobiltà veneziana, il doge divenne il solo magistrato veneziano a mantenere la carica a vita, che presenziava alle celebrazioni statali, seguendo un preciso cerimoniale, ed era a capo dei principali organi collegiali del governo; non aveva  però potere deliberativo, esecutivo o giudiziario, né gli era  concesso di svolgere da solo alcuna funzione di governo e poteva lasciare il Palazzo solo in occasioni ufficiali e uscire dalla città per qualche giorno solo se autorizzato.

Ma il doge, scelto tra i nobili più anziani e benemeriti,  incarnava  la suprema rappresentazione dello Stato, con innumerevoli valenze simboliche dell’autorità e della magnificenza della Repubblica.

Alla morte del doge erano previste esequie solenni ma non si porta il lutto, perché la Repubblica non muore mai, mentre si attivavano due magistrature, una preposta a controllare il buon operato del doge defunto dal XVI secolo,  l’altra a rielaborare la Promissione del successore, la cui nomina avveniva in tempi rapidi e con fastose, rituali celebrazioni.

L’ultimo doge, Ludovico Manin, abdicò nel 1797, all’ingresso a Venezia delle truppe di Napoleone Bonaparte, che pose fine all’antica Repubblica.