Bergoglio è un cognome marcatamente piemontese, dalle origini antiche. Un cognome salito alla ribalta mondiale con l’elezione di Jorge Mario Bergoglio, al soglio pontificio nel 2013, con il nome di Francesco I. Prima di Papa Francesco, un Bergoglio era già salito agli onori delle cronache.

Si trattava di Carlo Bergoglio, noto più semplicemente con il diminutivo di Carlin. E’ stato un giornalista, scrittore, umorista e disegnatore della prima metà del 900, dalla sua anche la direzione di Tuttosport. Seguì con passione il calcio e il ciclismo. Nel 1948 in occasione del 50º anniversario della F.I.G.C. fu insignito del titolo di pioniere del calcio italiano.

Nato il 1 aprile 1895 a Torino, orfano di padre, da bambino si trasferì con la madre nella vicina Courgnè, dove viveva parte della famiglia. Nella cittadina canavese, grazie a uno zio che scolpiva il marmo cominciò ad avvicinarsi all’arte e al disegno in particolare. Esordì nel 1912 come caricaturista per il Guerin Sportivo. Dopo la prima guerra mondiale, dove fu ufficiale di fanteria, collaborò con intellettuali locali come Attilio Mussino e Angiolo Silvio Novaro alla rivista torinese d’ispirazione cattolica Cuor d’oro (1922-26), riprendo anche l’attività al Guerin, diretto da Giulio Corradino Corradini, di cui diventò inviato e caporedattore.

Nel 1945 lasciò il Guerin, accettando l’offerta di Renato Casalbore, che lo nominò vicedirettore del neonato Tuttosport. Scrisse le prefazioni ai libri del campione di ciclismo Alfredo Binda, “Le mie vittorie e le mie sconfitte” (1931), di Fulvio Bernardini, “Dieci anni con la nazionale” (1946) e di Giampiero Boniperti, “La mia Juventus”.

Pubblicò anche due libri: nel 1929, “Dalli all’arbitro! Abbecedario del perfetto tifoso” e nel 1946, “Vita segreta dei giri d’Italia”. Nel 1949 sostituì Casalbore, scomparso nella tragedia di Superga, alla direzione di Tuttosport. Morì improvvisamente il 25 aprile 1959, a 64 anni.

A Courgnè, gli è stato dedicato un museo d’arte, inaugurato nel 2014, ricavato all’interno di una fabbrica dismessa, che raccoglie oltre 200 delle sue opere.

A Carlin Bergoglio, il calcio deve molto dal punto di vista dell’immagine, quello che il mondo del marketing moderno sta sfruttando al massimo.

Fu proprio un’idea maturata dalla fantasia del giornalista torinese, quella dell’introduzione delle mascotte, da affiancare alle squadre di calcio, simbologia usata ancora oggi da giornalisti e tifosi. L’usanza fu lanciata nel settembre del 1928 dal Guerin Sportivo che proponeva di associare a ogni squadra l’immagine di un animale con la seguente motivazione: “Tutti comprenderanno come giovi alla simpatica popolarità di un’unità calcistica una caratteristica facile, che colpisca la fantasia del pubblico giovane, facendo sorridere e prestandosi all’esaltazione quanto all’umorismo. Forse molte squadre non hanno la celebrità che si meritano appunto per questo grigiore, per questa mancanza di denominazione popolaresca”.

Il settimanale invitava così i suoi corrispondenti a interrogare gli sportivi della propria città e, attraverso referendum sulle testate locali, scegliere un animale o comunque un personaggio da abbinare alla propria compagine calcistica partendo dai colori sociali, dallo stemma cittadino o dalla maschera del posto. Questa sua idea vide attingere soprattutto al mondo animale (infatti le chiamò animalìe) e classificando la raccolta sotto il titolo L’Araldica dei Calci. Grazie a questo linguaggio visivo si fece spazio un nuovo modo di fare giornalismo, più efficace e corrosivo, e la sua immediatezza ne moltiplicò la capacità critica. Infatti, da quell’edizione del Guerin del 10 ottobre 1928, l’usanza dilagò fra gli sportivi italiani con stupefacente rapidità: faceva piacere riconoscere la propria squadra in uno stemma “nobiliare”, anche se con un implicito tono goliardico. Al tempo qualcuno non apprezzò l’accostamento e ci sono state trattative per variare o modificare gli abbinamenti sgraditi. Già al tempo l’immagine e il marketing erano importanti.

Al Torino, campione in carica, fu assegnato un Toro rampante in campo granata che calcia un pallone. Alla Juventus toccò la zebra, per via dell’accostamento cromatico della maglia e “che dice sempre no e rampa in salita”. Il Milan fu visto come “un Diavolo che non ha paura di assidersi su qualunque braciere e mette la coda ovunque”. L’Inter (Ambrosiana) fu accoppiata allo storico “Biscione”, Visconteo – Sforzesco. Il Genoa, raffigurato come un grifone, antico emblema cittadino. Per la Roma facile l’accostamento storico: una Lupa con i gemelli che bisticciano fra loro. Per l’Alessandria prevalse il colore e a causa del grigio fu obbligatorio scegliere l’Orso. Inizialmente aveva un Borsalino in testa, il cappellificio era infatti una storica azienda locale, ma poco doto venne tolto il richiamo commerciale. Al Bologna: “un Balanzone gioca con lo scudetto che non si vede, perché l’ha nascosto dietro per non farsi tener d’occhio”. Un’interpretazione smaliziata, potrebbe leggerci un riferimento agli spareggi della “stella rubata” poiché inoltre Carlin ironizza su Arpinati (potente gerarca fascista del tempo, presidente della Figc, tifosissimo bolognese e autore della “rapina” al Genoa) chiamandolo “Sua maestà Leandro I”.

Similitudine tra Padova e Bari, per gli stessi colori sociali ed entrambe si rifanno al gallo. Per i veneti è la variazione maschile della mitica gallina padovana con tanto di calzoni e cresta doppia, anche se la tifoseria voleva a tutti i costi inserire il più mistico Sant’Antonio. Per i pugliesi invece un galletto più spennacchiato, con cresta e speroni ma canterino e impertinente, proposto dalla stampa locale a sfavore del pettirosso. A Trieste la società chiese “il Muletto che tira calci sorprendenti”, mentre per l’Atalanta di Bergamo fu semplice accostare l’eroina della mitologia greca, che sfida tutti nella corsa allo scudetto, mentre al Livorno, una triglia dagli occhi dolci che guizza. Al Casale un cinghiale irsuto e indomabile, ai vicini-rivali della Pro Vercelli, un Leone appostato che attende la preda. Alla Pro Patria di Busto Arsizio il Tigrotto, felino dai balzi pericolosi, per via del richiamo alla maglia a strisce e per il modo indomito, aggressivo spesso anche oltre, di giocare dei suoi calciatori.

In certi casi prevalse il simbolo della città, e così si spiega la Scala in mano al Cangrande per Verona e il Canarino per il Modena, rappresentazione cromatica dello stemma comunale. E rifacendosi alla storia. La Leonessa di Brescia e il Leone evangelico per il Venezia.