Valenza, piccola e dorata, sede di grandi produttori e di piccoli artigiani, città dell’oro, dei gioielli, delle pietre preziose.

Dalla fine dell’Ottocento, Valenza, provincia di Alessandria, è un centro d’eccellenza per la produzione di gioielli nel mondo.

Gran parte dell’economia della città ruota intorno a quest’attività, al punto che la percentuale di produzione esportata si attesta tra il 50 e il 60% del totale, dove oltre 30 tonnellate d’oro e l’80% delle pietre preziose importate in Italia finisce proprio qui, tra le fabbriche dei maggiori marchi di gioielli italiani e internazionali.

La lavorazione dell’oro a Valenza cominciò con l’iniziativa di Vincenzo Morosetti, che nel 1845 aprì un laboratorio con due operai alessandrini, Francesco Zacchetti e Carlo Bigatti, anche se una statistica di qualche anno prima registra in città la presenza di due orefici, due orologiai e due venditori di oggetti d’oro.

Morosetti, forte dell’esperienza, acquisita anche con viaggi all’estero,, avviò una produzione pregevole servendosi di tecniche produttive raffinate, poi Bigatti e Zacchetti lasciarono il laboratorio e avviarono proprie attività.

La ditta di Bigatti impostò la produzione su criteri non artigianali, ma con una prima forma di divisione del lavoro, tra incisori, orefici, smaltatori e pulitrici.

Nel 1850 i laboratori di oreficeria presenti a Valenza erano tre, nel 1872 se ne erano aggiunti altri due e, complessivamente, vi lavoravano 110 operai.

L’anno successivo, un valenzano che viaggiato, Vincenzo Melchiorre, tornò in città e aprì un laboratorio di oreficeria forte delle esperienze tecniche che aveva acquisito prima a Torino nell’atelier Twerembold, poi nella Parigi del Secondo Impero, tempio europeo della moda e del lusso, presso Vaubourzeix Boucheron, e poi nelle capitali italiane, a Firenze da Marchesini e a Roma.

La produzione di Melchiorre era molto più raffinata rispetto alla media, con l’uso di pietre preziose incastonate in modo artistico nei gioielli, nel 1911 la Melchiorre & C. impegnava 86 operai.

L’esempio di Melchiorre fu seguito da altre ditte, come Raselli Nicola (1875), Cunioli e Repossi (1880), Marchese e Gaudino (1882) tutte grazie a conoscenze assunte all’estero da parte di lavoratori qualificati, attraverso un percorso di miglioramento qualitativo.

Nel 1902 fu fondata una Cooperativa di Produttori di Generi di Oreficeria, i cui soci erano in gran parte operai specializzati e la cui produzione, alla vigilia della prima guerra mondiale, si attestava su 220.000 lire, mentre le imprese orafe valenzane erano ben 44, di cui 8 occupavano più di 25 operai.

La materia prima, l’oro, era acquistata sul mercato milanese, le pietre preziose provenivano da Milano, ma anche da Parigi, Amsterdam e Anversa. Fin dal 1840 era presente ad Alessandria la ditta Mino G. B., fabbrica di macchine per oreficeria, dove si servivano i produttori valenzani. Attorno al 1910, a Valenza iniziò la produzione del catename, che consentiva maggior meccanizzazione, anche se il lavoro orafo era in gran parte manuale.

Ma il boom della produzione si ebbe negli anni che seguirono la fine della seconda guerra mondiale, poi il settore risentì dell’andamento generale dell’economia.

Oggi il distretto, riconosciuto dalla Regione Piemonte, comprende otto comuni di cui tre lombardi, ma prevalgono tuttora le imprese medio piccole che spesso lavorano per subcommissione, mentre la filiera comprende gioielleria, lavorazione di pietre preziose e anche bigiotteria.

Il mercato mondiale dei gioielli ha visto, negli ultimi decenni, nuovi marchi di grande notorietà internazionale e l’ingresso di nuovi produttori come l’India, la Cina e la Turchia.

Tutto ciò ha creato problemi di commercializzazione per le piccole e medie imprese valenzane che hanno ideato, per i prodotti orafi di alta gamma, il prestigioso brand DiValenza.