Kon Ichikawa

Uno dei registi più noti del Giappone del dopoguerra…

Kon Ichikawa, nato a Ujiyamada il 20 novembre 1915 si distinse da Akira Kurosawa, Keisuke Kinoshita e Masaki Kobayashi per una propensione a una commedia acre e pungente, spesso intrisa di cinismo e humour nero e per il ricorso a grandi opere della letteratura giapponese moderna e contemporanea.

Appassionato di disegno, dopo aver studiato presso un istituto tecnico di Osaka, Ichikawa entrò negli studi della compagnia JO che, nel 1938, confluì nella Tōhō, e si occupò inizialmente di animazione, poi fu incluso nel gruppo degli assistenti alla regia.

Nel 1946 realizzò il suo primo lavoro, Musume Dōjōji (La ragazza del tempio Dōjō), un film di marionette ispirato alla tradizione del teatro bunraku, che il regista considerò una delle sue opere più riuscite.

Verso i primi anni Cinquanta, il nome di Ichikawa era legato a una serie di commedie noir, memori di certa lezione hollywoodiana, in cui il regista affrontava anche temi di carattere sociale, come la rinascita del militarismo in Pū san, (1953), oltre a dipingere una serie di caricature assai velenose in Okuman chōja (1954).

Nel 1955 con Kokoro (Il cuore), tratto da un romanzo di Natsume Sōseki, storia dell’amicizia fra uno studente e un uomo maturo, inaugurò una serie di adattamenti di grandi opere letterarie, avvalendosi della collaborazione della moglie e sceneggiatrice Wada Natto, come Nihonbashi (1956), da Kyōka Izumi, Shokei no heya (1956) da Shintarō Ishihara, Enjō (1958) da Yukio Mishima, Kagi (1960) da Jun’ichirō Tanizaki e Hakai (1962) da Tōson Shimakazi.

Furono però soprattutto i due film antimilitaristici del periodo, Biruma no tategoto e Nobi, a dare il respiro internazionale al cinema del regista.

Il primo è la storia di un soldato che, dopo la fine della guerra, decide di non tornare in patria e, indossato il saio di un monaco buddista, seppellisce i cadaveri lasciati sui campi di battaglia; il secondo, tratto da un romanzo di Shōhei Ōoka, racconta di un gruppo di soldati che, per sopravvivere alla fame, si dà al cannibalismo.

Negli stessi anni, il regista fornì ulteriore prova del suo eclettismo con Yukinojō henge (1963), una moderna rilettura del teatro kabuki a ritmo di jazz, dove sono sfruttate a fondo le possibilità espressive dello schermo panoramico e del colore; con Taiheiyō hitoribotchi (1963), sull’avventura solitaria di un uomo in mezzo all’oceano e Tōkyō orinpikku (1965), una rappresentazione personale e priva di retorica dei giochi olimpici e del mondo dello sport.

Successivamente Ichikawa smarrì la sua vena creativa e, pur continuando a dirigere un gran numero di film, alcuni dei quali interessanti, non ritrovò la magia del periodo a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta.

Dell’ultima fase della sua carriera, si può ricordare il successo commerciale di Inugami ke no ichizoku (1976), da un romanzo giallo di Seishi Yokomizo, popolare autore di mistery più volte adattati per il cinema; Sasame yuki (1983, Neve sottile), dal capolavoro di Tanizaki, il remake di Biruma no tategoto (1985); una sontuosa versione dell’epica del Chūshingura, Shijūshichinin no shikaku (1994); e il jidaigeki Dora Heita (1999) su un magistrato dell’epoca Tokugawa in lotta contro la malavita organizzata.

Il grande regista mori il 13 febbraio 2008 a Tokyo.