Mese che vede la fine dell’autunno, scandito da giornate dove le ore di luce diminuiscono progressivamente, novembre è ricco di tradizioni tutte da scoprire…
Il primo giorno del mese cade la festa di Ognissanti, una grande festività religiosa dedicata a tutti i santi, mentre nella tradizione pagana era considerato il Capodanno, col ritorno sulla terra dei defunti.
I Celti erano un popolo dedito all’agricoltura e alla pastorizia e la fine dell’estate, con i raccolti, diventava anche quella dell’anno nel calendario contadino.
Quando la Chiesa impose il suo calendario liturgico, dedicò il 1 novembre ai Santi e il 2 alla commemorazione dei defunti, conservando però la tradizione di fare opere di bene in memoria dei defunti.
Un tempo in quei giorni si cuocevano fave, ceci, fagioli e lupini da mangiare in famiglia e da offrire ai poveri che quel giorno chiedevano l’elemosina, nota come la carité di mort, che in cambio dicevano preghiere per i defunti della famiglia.
Invece l’ 11 novembre cade la festa di San Martino, dove mangiano castagne e si beve il vino novello, mentre in Francia il santo portava i doni ai bambini buoni e puniva quelli cattivi, lasciando una frusta vicino alla cappa del camino.
In provincia di Novara durante la festa vengono distribuiti pani benedetti e l’ultimo giorno di festa i contadini compiono l’ufficio della secchia, cioè versano in un barile il vino nuovo che viene offerto al santo, poi tutti i presenti bevono insieme.
Nella Pianura Padana a San Martino si mangia l’oca, un animale presente nell’iconografia del santo, probabilmente grazie a una tradizione celtica che identificava nell’oca un messaggero dell’Altro Mondo.
Inoltre nella religione celtica veniva venerato un dio cavaliere e vincitore del mondo degli inferi, che vestito di una corta mantellina nera, in groppa ad un cavallo dello stesso colore, trionfava sulla morte, leggenda che ha delle impressionanti somiglianze con San Martino e la vicenda del mantello diviso con il mendicante.
Nella cittadina abruzzese di Scanno c’è l’abitudine di preparare tre falò chiamati Glorie, corrispondenti alle contrade del paese, molto alti e a forma piramidale, allo scopo di permettere che il fuoco si sviluppi simultaneamente in ogni zona.
I resti dei legni bruciati sono poi donati da giovani col volto nero di fuliggine alle spose più giovani del paese, che a ricambiano con biscotti, formaggi, frutta e vino.
La credenza più curiosa legata alla festa fa di San Martino il patrono dei cornuti, soprattutto nell’Italia centro-settentrionale e a Nepi ancora oggi si svolge un beffardo corteo di giovani che si adornano con le corna, passando di casa in casa.
Nelle antiche tradizioni contadine, questo periodo era visto come un carnevale di 12 notti che si concludeva prima dell’Avvento, che è il tempo della penitenza.
Durante questa festa c’era una simbolica caccia al marito tradito, uomo debole ed incapace di dominare la moglie, che finiva con l’incornamento con corna di cervo o di mucca di alcuni individui, dato che il marito debole era identificato con il cervo, animale dalle grandi corna e preda del cacciatori.