Ruth Orkin

Fino al 16 luglio le Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino ospitano la grande mostra antologica su Ruth Orkin (Boston 1921 – New York 1985), fotoreporter, fotografa e regista statunitense, tra le più rilevanti del XX secolo.

L’esposizione, curata da Anne Morin, organizzata da Chroma, prodotta dalla Società Ares srl con i Musei Reali e il patrocinio del Comune di Torino, vede 156 fotografie, la maggior parte originali, che ripercorrono la vita di una delle personalità più importanti della fotografia del XX secolo, in particolare tra il 1939 e la fine degli anni Sessanta, attraverso alcune opere come VE-Day, Jimmy racconta una storia, American Girl in Italy, uno dei suoi scatti più iconici, i ritratti di personalità quali Robert Capa, Albert Einstein, Marlon Brando, Orson Welles, Lauren Bacall, Vittorio De Sica, Woody Allen e altri.

Affascinata dal cinema, Ruth Orkin sognava di diventare una regista, grazie anche all’influenza della madre, Mary Ruby, attrice di film muti, che la portò a frequentare le quinte della Hollywood degli anni Venti e Trenta del Novecento.

Nella prima metà del secolo scorso, tuttavia, per una donna la strada per intraprendere questa carriera era disseminata di ostacoli, così Ruth dovette rinunciare al sogno di diventare cineasta e, quando le venne regalate la sua prima macchina fotografica, una Univex da 39 centesimi, si avvicinò alla fotografia, ma senza mai trascurare il fascino del cinema.

Attraverso un’analisi molto specifica dell’opera di Orkin, la rassegna permette di capire i meccanismi messi in atto per evocare il fantasma del cinema nel suo lavoro, come nel suo primo Road Movie del 1939, quando attraversò in bicicletta gli Stati Uniti da Los Angeles a New York.

In quell’occasione, Ruth Orkin tenne un reportage che raccontava questo viaggio e la cui linearità temporale si svolge in ordine cronologico.

Ispirandosi ai taccuini e agli album in cui la madre documentava le riprese dei suoi film, l’artista inseriva l’immagine fotografica in una narrazione che riprendeva la progressione cinematografica, come se le fotografie fossero immagini fisse di un film mai girato.

Il percorso propone inoltre lavori come I giocatori di carte o Jimmy racconta una storia, del 1947, in cui Ruth Orkin usa la macchina fotografica per fissare dei momenti, lasciando allo sguardo dello spettatore il compito di comporre la scena, ma anche le immagini del film Little fugitive (1953), candidato al Premio Oscar per la migliore storia cinematografica e vincitore del Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia, su un bambino di sette anni di nome Joey (Richie Andrusco) in fuga a Coney Island dopo essere stato indotto con l’inganno a credere di aver ucciso suo fratello maggiore Lennie, e che François Truffaut riteneva di fondamentale importanza per la nascita della Nouvelle vague.

Nei primi anni Quaranta, Ruth Orkin si trasferì a New York, dove fu  membro della Photo League, cooperativa di fotografi newyorkesi, ed ebbe prestigiose collaborazioni con importanti riviste, tanto da diventare una delle firme del momento.

Con Dall’alto, lavoro di quegli anni,  Orkin catturò perpendicolarmente da una finestra gli avvenimenti che si svolgono per strada, riprendendo alcune persone del tutto ignare di essere oggetto del suo sguardo, come  un gruppo di signore che danno da mangiare ai gatti di strada; un padre che, acquistata una fetta di anguria, la porge alla figlia davanti al chiosco del venditore ambulante; due poliziotti che fanno cordone attorno a un materasso logoro abbandonato per strada; due bambine che giocano a farsi volteggiare l’un l’altra; un gruppo di marinai che incedono speditamente e che divengono riconoscibili per i loro cappelli che si stagliano come dischi bianchi sul fondale grigio dell’asfalto.

La mostra racconta anche il reportage per la rivista Life, realizzato nel 1951 in Israele a seguito della Israeli Philarmonic Orchestra e del viaggio compiuto in Italia, visitando Venezia, Roma e Firenze, dove Ruth conobbe Nina Lee Craig, una studentessa americana, alla quale chiese di farle da modella per un servizio sull’esperienza di una donna che viaggia da sola in un paese straniero e che fu il soggetto di American Girl in Italy, una delle sue fotografie più iconiche.