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Un’abbazia, tra i campi della Lomellina, che ebbe un profondo legame con la storia dell’Europa cristiana….

La vicenda dell’abbazia benedettina di Breme è legata indissolubilmente a quella dell’abbazia di Novalesa, in Val di Susa, fondata nel 726 sulla Via Francigena,  una delle più celebri d’Europa, centro di vita religiosa e spirituale e punto di riferimento della cultura dell’Alto Medioevo.

All’inizio del X secolo, in seguito alle scorrerie dei pirati saraceni, i monaci di Novalesa  fuggirono a Torino, con gli arredi sacri, gli oggetti preziosi e una parte della biblioteca.

Alloggiati in un primo tempo nel monastero dei Santi Andrea e Clemente a Torino, i frati furono presi sotto la protezione del marchese d’Ivrea Adalberto, padre del re d’Italia Berengario II, che donò loro la chiesa di Sant’Andrea in Torino, oggi Santuario della Consolata,  e le curtis di Breme e di Pollicino, corrispondente all’attuale cascina Rinalda, oltre a vari territori tra il Piemonte, la Liguria e la Lombardia occidentale.

La donazione fu ratificata pochi mesi dopo, il 24 luglio 929, dal re Ugo nella sua sede di Pavia.

Breme, che sorgeva su un’altura detta Costa Rubea alla confluenza tra Po e Sesia, era in una posizione strategica per i monaci della Novalesa, a breve distanza dalla sede imperiale di Pavia e fu li che Donniverto, ultimo abate di Novalesa e primo di Breme, edificò un monastero che fu intitolato a San Pietro.

Intorno alla metà del X secolo l’edificio era terminato e a quest’epoca risale anche la costruzione della cripta tuttora esistente.

Il fatto che la comunità benedettina si fosse trasferita a Breme non vide l’abbandono del sito originario dell’abbazia, dato che l’abate Gezone si preoccupò di restaurare gli edifici della Novalesa e ottenne dall’imperatore Ottone III un diploma, redatto nel 998, in cui si confermavano all’abate di Breme tutte le donazioni più recenti e tutti i possedimenti di pertinenza dell’antica abbazia.

Da allora Breme e Novalesa furono un tutt’uno, tanto che gli abati si nominavano abate di Novalesa e di Breme.

Per il punto di vista giurisdizionale l’abbazia di Breme fu svincolata dal potere dei vescovi e dalla giurisdizione delle diocesi, soggetta unicamente al Papa e all’Imperatore, e venne toccata solo marginalmente dalle grandi riforme monastiche del tempo, quella cluniacense prima e quella cistercense poi.

Diversi papi, con una serie di bolle pontificie, ribadirono questa protezione accordata a Breme, come  Benedetto VIII (1014), Innocenzo II (tra il 1130 e il 1143), Eugenio III (1151); e diversi imperatori tra cui Corrado II (1026), Enrico III (1048) e Ottone IV (1210).

Il declino dell’abbazia iniziò nel 1306, quando Breme fu assediata dalle milizie di Galeazzo Visconti, e proseguì dopo la decisione dei duchi di Milano di impiantarvi fortificazioni a difesa della sponda lombarda del Po, così da trasformare la cittadina in un presidio militare.

Nel 1542 i monaci benedettini si trasferirono nell’abbazia di Sant’Alberto di Butrio e al loro posto si insediarono gli Olivetani, altro ramo della grande famiglia benedettina, venne poi soppresso il titolo di abate e i beni dell’abbazia furono uniti a quelli di San Bartolomeo della Strada di Pavia. Agli Olivetani si deve la costruzione dell’edificio attuale e dell’artistico campanile, avvenuta alla metà del XVI secol, poi il monastero venne poi radicalmente restaurato dopo la distruzione della fortezza, intorno al 1650.

Il declino era inarrestabile e il  colpo di grazia venne dato dal Re di Sardegna Vittorio Emanuele I che nel 1784 decretò la soppressione dell’abbazia e l’incameramento dei suoi beni da parte dello stato.

Sotto Napoleone fu poi abbattuta la chiesa abbaziale, già diroccata e pericolante.