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Una storia che intreccia le Olimpiadi alle vicende della Guerra Fredda…

Era il 21 marzo 1980 quando il presidente statunitense Jimmy Carter annunciò a una delegazione di atleti alla Casa Bianca che gli Stati Uniti non avrebbero partecipato ai Giochi Olimpici, previsti dal 19 luglio al 3 agosto a Mosca.

La decisione di Carter era arrivata in seguito all’invasione da parte dei sovietici dell’Afghanistan, iniziata il 25 dicembre 1979 per ottenere il controllo della produzione di petrolio in Afghanistan.

Il 20 gennaio 1980 il presidente diede un ultimatum al governo sovietico,  se entro un mese non avesse ritirato le truppe dall’Afghanistan, gli Stati Uniti avrebbero boicottato le Olimpiadi.

Carter chiese al Comitato Olimpico Internazionale di cancellare le Olimpiadi o di spostarle in un altro paese, se i sovietici non avessero accolto le sue richieste.

Un mese dopo, poiché non c’era stato il ritiro da parte dell’Unione Sovietica dall’Afghanistan, Carter annunciò che gli atleti statunitensi non avrebbero partecipato alle Olimpiadi di Mosca.

Nonostante l’annuncio di Carter la decisione di partecipare o meno alle Olimpiadi non spettava al governo, ma al Comitato Olimpico statunitense, che sosteneva l’idea di partecipare e battere i sovietici nelle gare come una soluzione migliore al boicottaggio,  frutto della recente storica vittoria della squadra di hockey degli Stati Uniti contro i sovietici ai Giochi olimpici invernali di Lake Placid, conosciuta come Miracolo sul ghiaccio.

Alla fine il 12 aprile anche il Comitato Olimpico statunitense approvò la decisione del presidente Carter, ufficializzando il boicottaggio, ma non fu facile convincere altri paesi ad aderire, e nel caso di quelli africani gli Stati Uniti chiesero all’ex pugile Muhammad Ali di visitare Tanzania, Nigeria, Senegal e Kenya per parlare con i leader locali, data la sua popolarità nel continente. Tuttavia il grande sportivo riuscì a convincere solo il Kenya.

La decisione degli Stati Uniti venne infine seguita da 64 paesi tra cui Canada, Germania Ovest, Norvegia, Giappone, Corea del Sud, Cile, Argentina, Israele e Cina, oltre alle nazioni arabe,  tra cui l’Iran, dopo la condanna dell’invasione sovietica da parte dell’Organizzazione della cooperazione islamica e delle Nazioni Unite.

Si aggiunse all’ultimo anche la Liberia, che decise per il boicottaggio dopo aver partecipato alla cerimonia di apertura.

I Comitati Olimpici di 15 paesi decisero di partecipare, ma lo fecero sotto la bandiera olimpica e  furono Andorra, Australia, Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Porto Rico, San Marino, Spagna e Svizzera.

In tutto parteciparono alle Olimpiadi di Mosca 80 paesi, il numero più basso dalle Olimpiadi di Melbourne del 1956.

Gli Stati Uniti organizzarono dei giochi olimpici alternativi, chiamati Liberty Bell Classic, dove parteciparono i paesi che boicottarono Mosca e alcuni di quelli che parteciparono sotto la bandiera olimpica, si svolse tra il 16 e il 17 luglio 1980 presso l’università della Pennsylvania, negli Stati Uniti, con solo gare di atletica.

Alle Olimpiadi di Mosca gli atleti sovietici ottennero il maggior numero di medaglie, 195 in totale, di cui 80 d’oro,  data l’assenza di gran parte degli atleti più forti del resto dei paesi.

L’Italia, anche se con l’assenza degli atleti militari, ottenne il quinto posto nel medagliere, e fu la prima tra i paesi del blocco occidentale, con la vittoria nei 200 metri di Pietro Mennea, e quella nel salto in alto di Sara Simeoni.

Alla cerimonia di chiusura al posto di quella statunitense fu issata quella di Los Angeles, città dove si sarebbero svolti i giochi nel 1984 e che l’Unione Sovietica e 13 paesi alleati decisero poi di boicottare in risposta al gesto statunitense.