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Il 22 novembre 1963 venne assassinato a Dallas il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, uno dei più amati personaggi del secondo Novecento, che visse una vita davvero drammatica e ricca di avventura, come durante la seconda guerra mondiale nel Pacifico…

John F. Kennedy, anche se aveva  seri problemi di salute alla schiena, grazie all’aiuto del capitano di vascello Alan Kirk, direttore dell’Ufficio dell’intelligence navale (ONI), che era stato addetto navale a Londra, quando suo padre, Joseph P. Kennedy, ne era stato l’ambasciatore, fu arruolato nella Marina statunitense e venne  nominato guardiamarina della Riserva nell’ottobre 1941, entrando a far parte dello staff dell’Office of Naval Intelligence. 

In seguito Kennedy frequentò il corso di ufficiale di complemento con la Naval Reserve Officers Training School, presso la Northwestern University, da luglio a settembre 1942, e dopo la laurea fu assegnato al Motor Torpedo Boat Squadron Training Center di base in Rhode Island. In dicembre fu nominato comandante della motosilurante PT-101, appartenente al Motor Torpedo Boat Squadron Fourteen, schierata a Panama.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Kennedy fece domanda per essere assegnato in zona di operazioni e, il mese successivo, divenne parte dell’equipaggio del PT-109 nelle Isole Salomone.

Nella notte del 2 agosto 1943, a motori spenti per non farsi intercettare, il giovane comandante della motosilurante PT-109 si trovò coinvolto in una missione di pattugliamento e interdizione nello stretto di Blackett, attraverso il passaggio Ferguson, lungo le rotte di rifornimento giapponese della rotta denominata in codice Tokio Express. Un rapporto dei servizi d’informazione aveva segnalato che cinque incrociatori nemici avrebbero fatto rotta quella notte dall’isola di Bougainville, attraverso lo stretto di Blackett, dirette a Vila, e le motosiluranti uscirono per intercettarli, sfruttando le ore notturne, ma durante la missione otto motosiluranti lanciarono 30 siluri senza riuscire a colpire nessun bersaglio.

Inoltre, dall’esame degli ordini di operazione, non era stata nemmeno prevista una procedura di emergenza nel caso in cui uno dei PT fosse stato colpito, così le motosiluranti ricevettero l’ordine di lanciare i due siluri in dotazione e quindi rientrare alla base., così alla fine tre motosiluranti, PT-109,  PT-162 e PT-169, continuarono a pattugliare per intercettare il nemico.

Verso le 2 di notte, il PT 109 spense il motore per evitare il rilevamento della scia da parte degli aerei giapponesi, ma si accorsero di trovarsi sulla rotta del cacciatorpediniere giapponese Amagiri, che stava rientrando a Rabaul.

Il PT-169 lanciò due siluri contro l’Amagiri (che andarono a vuoto) il PT-162 non riuscì nemmeno a farli partire e si allontanò, mentre il PT 109 fu speronato dal cacciatorpediniere giapponese che procedeva ad oltre 23 nodi.

Dopo che il PT-109 fu speronato, si generò una colonna di fuoco alta 30 metri, ed il carburante si riversò in mare, causando un incendio nelle acque circostanti e due marinai, Andrew Jackson Kirksey e Harold William Marney, perirono sul colpo ed altri due membri dell’equipaggio rimasero gravemente feriti e ustionati, cadendo nel mare in fiamme.

Kennedy riuscì a salvare il  McMahon, il membro dell’equipaggio con le ferite più gravi, che includevano ustioni che coprivano il 70 percento del suo corpo, e lo portò  sulla prua che ancora galleggiava, poi si lanciò nuovamente in acqua salvandone altri due.

Gli  undici sopravvissuti si aggrapparono alla sezione di prua del PT-109 per dodici ore mentre il relitto vagava alla deriva, dirigendosi verso sud.

Verso le 13:00 del 2 agosto, lo scafo incominciò ad imbarcare acqua e Kennedy si rese conto che sarebbe presto affondato, così decise di nuotare verso la minuscola isola deserta di Plum Pudding, che gli uomini la chiamavano “Bird” Island a causa del guano che ricopriva i cespugli.

Ci vollero quattro ore per raggiungere a nuoto l’isola, a circa tre miglia di distanza, tra correnti insidiose e la costante paura di essere attaccati dagli squali, attirati dal sangue dei feriti.

L’isola aveva un diametro di soli 91 metri, e non forniva né cibo né acqua, così l’equipaggio si trascinò dietro la linea degli alberi per nascondersi dalle chiatte giapponesi, poi il 4 agosto si trasferirono, nuotando quasi quattro miglia, a sud dell’isola di Olasana, combattendo contro una forte corrente, dove cìerano noci di cocco mature, anche se non c’era acqua potabile.

Il 5 agosto Kennedy e il guardiamarina Ros  nuotarono per un’ora fino all’isola di Naru, dove trovarono una canoa, pacchetti di cracker e caramelle ed un bidone da cinquanta galloni di acqua potabile lasciato dai giapponesi.

Sull’isola di Olasana i due incontrarono degli osservatori melanesiani con cui Kenndy riuscì a scambiare poche parole e li convinse che erano americani, così gli indigeni portarono alcune patate dolci, verdure e sigarette dalla loro piroga e aiutarono l’equipaggio fino all’arrivo dei soccorsi, che avvenne due giorni dopo.

Per il suo atto di coraggio, Kennedy fu insignito della Medaglia della Marina e del Corpo dei Marines per il salvataggio del suo equipaggio, ottenendo anche la Purple Heart per le ferite riportate in combattimento.

In seguito Kennedy tornò negli Stati Uniti nel gennaio 1944, ma per i problemi alla schiena dovette ritirarsi dalla Riserva della Marina nel marzo 1945 con il grado di tenente di vascello.

Ma Kennedy restò sempre legato alla Marina Statunitense e, nell’agosto del 1963, scrisse “Any man who may be asked in this century what he did to make his life worthwhile, I think can respond with a good deal of pride and satisfaction, ‘I served in the United States Navy,’” e la USN non lo dimenticò nominando una delle sue portaerei, CVN-79, con il suo nome.