Il 17 gennaio si festeggia sant’Antonio abate, eremita egiziano, vissuto tra la metà del III e la metà del IV secolo, fondatore del monachesimo cristiano, la cui storia vede anche un legame con le Sementivae romane, festività che cadevano al momento della fine della semina.
Come la festa della Befana, anche quella di sant’Antonio, accompagnata da grandi falò, ha radici che affondano nei riti delle comunità rurali volti a propiziare l’arrivo della primavera, e con essa del raccolto.
Al tempo dei Romani, nella seconda metà di gennaio si celebravano le Sementivae, o Feriae Sementivae o Sementina dies, una festa mobile, stabilita di anno in anno in base all’andamento della stagione.
Nei giorni delle Sementivae, per la rigidità del clima il lavoro si interrompeva per chiedere a Cerere e Tellus di benedire i semi, ancora sepolti tra le zolle ma in procinto di germogliare, inoltre si celebravano sacrifici accompagnati da grandi fuochi, che richiamavano il sole e propiziavano l’arrivo della buona stagione.
Una conseguenza del rapporto di tra sant’Antonio abate e le Sementivae è che ancora oggi il fuoco e il maiale permangono nella memoria e nell’iconografia del santo, che giunse in Occidente per vie tortuose.
Nell’XI secolo il nobile francese Jocelin de Chateau Neuf, di ritorno da un pellegrinaggio, portò in patria le reliquie di Antonio abate, che dopo la conquista di Alessandria d’Egitto, dove erano conservate, si trovavano a Costantinopoli e poi furono poste a Vienne, nell’abbazia benedettina nota poi come Saint-Antoine-l’Abbaye, dove nel 1095 sorse una comunità laica ospedaliera poi divenuta l’ordine dei canonici regolari di Sant’Antonio, votati alla cura delle malattie della pelle e devoti al santo che, eremita nel deserto, dovette resistere alle tentazioni inviate dal diavolo.
Per questo motivo il nome di Antonio è tradizionalmente associato a patologie della pelle che provocano dolore e bruciore intensi, come l’herpes zoster, detto fuoco di Sant’Antonio, ma anche l’erisipela, un’infezione batterica acuta, o l’ergotismo da segale cornuta, una malattia che, per la sua origine alimentare, afflisse per secoli tutta l’Europa.
Per la cura delle piaghe gli antoniani usavano il grasso di maiale e, per averne a disposizione, allevavano maiali nei loro possedimenti e da qui l’immagine del maiale divenne simbolo delle chiese dell’ordine.
Legato all’ordine ospedaliero di Sant’Antonio di Vienne e, in Piemonte, la precettoria di Sant’Antonio a Ranverso in Valle di Susa voluta da Umberto III di Savoia, che nel 1188 donò il terreno ai canonici di Vienne e fu un’importante struttura di assistenza ai pellegrini situata in un luogo strategico, lungo le varianti della Via Francigena che provenivano dai valichi di Moncenisio e Monginevro.