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“L’albero che vive della cima” (Divina Commedia, Paradiso, 18: 28-30) è il filo rosso di Alberi in versi, mostra dell’artista Giuseppe Penone nella Galleria degli Uffizi di Firenze aperta fino al 3 ottobre. 

Ben trenta opere, tra sculture, installazioni, disegni e incisioni, disseminate lungo il percorso della Galleria, sono un omaggio al Sommo Poeta per i settecento anni dalla morte, ma ripercorrono anche i temi centrali dell’opera dell’artista, infatti l’albero è per Penone archetipo della scultura e insieme materia viva, simile a quella del corpo umano.

Il percorso della mostra, scelto dall’artista stesso, inizia con opere della fine degli anni Sessanta, da Continuerà a crescere tranne che in quel punto (1968-1978) sul tema del rapporto uomo-natura e del concetto di tempo dichiarato nella scultura attraverso espedienti figurativi e Rovesciare i propri occhi (1970), dove il visibile si arresta sulla soglia dello sguardo, riflesso in occhi resi temporaneamente ciechi da lenti specchianti.

Penone conferisce al disegno il linguaggio della scultura, come accade nel frottage di 15 metri Persone e Anni (2020), qui esposto per la prima volta e anche la pelle è vista come lo spazio, dove si generano le immagini, che riconducono l’uomo alla materia e alla natura, come quelle trasformate in mappe sensoriali nelle grandi Spine d’acacia (2006-2014).

C’è un dialogo tra due statue dell’antichità romana che si trovano all’inizio del corridoio di Ponente degli Uffizi, raffiguranti Marsia scorticato, dove privato della pelle il corpo perde ogni confine, mentre la pelle svuotata del corpo diventa uno spazio virtuale.

Vicino a esse l’artista ha collocato Pensieri di foglie (2014) dove, con un omaggio alla somiglianza tra esseri umani e mondo vegetale, un’immagine antropomorfa è coperta da un abito di foglie che la avvolge come un manto.

Si veste di un abito mitologico anche la scultura di bronzo Artemide (2019) con un doppio calco di un albero che mostra insieme l’interno e l’esterno, il vuoto e il pieno, con protuberanze simili a mammelle, come nell’Artemide di Efeso e nell’installazione Respirare l’ombra (2000) Penone racconta lo spazio che plasma il nostro corpo oggetto di un continuo scambio con l’ambiente esterno.

Un’altra metafora poetica si riconosce in Soffio di foglie (1979) dove al negativo dell’impronta del corpo fa eco, al centro della sala, il positivo del corpo di un Ermafrodito adagiato supino su un cuscino, simbolo della compresenza degli opposti.

La mostra si rivolge anche alla città e all’esterno del museo, in piazza Signoria, con Abete, una monumentale installazione di acciaio e bronzo di oltre 22 metri, inaugurata il 25 marzo, in occasione del Dantedì.