Il fuoco dei falò festeggia la fine dell’inverno, con il tipico risotto con la luganiga e un’antichissima tradizione popolare ancora viva.
Una memoria del passato che stava andando lentamente e inesorabilmente scomparendo, sotto i colpi di “modernizzazione” e “globalizzazione” e che invece, negli ultimi quindici anni ha avuto un forte impulso vitale.
Una tradizione quella dei fuochi propiziatori molto sentita da sempre, con le sue diverse celebrazioni, che partono dal Solstizio d’inverno, giorno più corto dell’anno e si protraggono fino ai primi giorni di febbraio.
Si celebra in pratica il ritmo naturale della Terra, il periodo in cui per le popolazioni più antiche, il sole al solstizio d’inverno scompariva nell’oscurità per poi tornare in vita più luminoso di prima.
Dalla giornata più corta, a quelle d’inizio febbraio, in cui in circa un mese, si guadagna circa un’ora di luce e la natura è pronta a riprendere vita. Un vecchio proverbio nostrano lo dice chiaro: “Ul genar al fa i ponti e ul febrar i u rompi”.
Nelle cascine c’era una vera gara a chi faceva durare di più il fuoco, la Gioebia che durava più a lungo dava prestigio a chi l’aveva costruita. Finito il rogo, sulle braci appena raffreddate si facevano passare gli animali, una sorta di benedizione pagana, poi le ceneri andavano sparse sui campi per fecondarli in vista della ripresa primaverile.
Il “Risotu cunt’ a lüganiga” è ovunque riconosciuto il piatto tradizionale della Gioebia. Il riso col suo forte valore beneaugurante, la “luganega” di maiale simbolo di opulenza.
In quest’occasione gli uomini usavano regalare alle loro spose un dolce a forma di cuore: “Cör da bunbun”, per ringraziarle dell’impegno nell’accudire la famiglia.
Una tradizione particolarmente viva a Varese e dintorni, con il dolce che viene ancora preparato nelle pasticcerie.
A Busto Arsizio e Gallarate “La Gioeubia” è da sempre molto sentita, anche nel rito del “Ul di scenin”ovvero una cena conviviale in segno di buon augurio per la bella stagione prossima a venire.
A Gallarate, la Gioeubia, viene bruciata ogni anno in un rione diverso a rotazione, la Pro Loco cucina il risotto in una pentola da guinnes dei primati.
Nella vicina Castellanza, falò nei vari rioni, la festa vede tranquillamente convivere il risotto con luganega con la polenta e bruscitt, oltre alla distribuzione del “pane di San Giulio”.
A Fagnano Olona, viene celebrata lungo le rive del fiume, mentre in centro sarà il tradizionale “uccello di fuoco” che, dalla torre di osservazione, scorrendo su un cavo d’acciaio andrà ad accendere il “Falò della Gioeubia”.
A Inveruno, dopo la ‘sfilata della Giobia” e il suo rogo, segue ‘Scinin da Giobia’, ovvero la cena a base di salame cotto e fagioli con l’occhio.
In quel di Arsago Seprio prima del falò della Giobia, si svolge una grande fiaccolata nel bosco fino alla Palude Pollini. Al ritorno dopo il rogo, si mangia la busecca (trippa).
Ad Albavilla, il rogo è preceduto da un corteo di carri allegorici, da cui viene distribuito il “Pane della Giubiana, che altro non è che il dolce locale, “Cutiscia”.
Molto sentita a Cantù, con migliaia di persone che si riversano nel centro città. A essere simbolicamente bruciato è un fantoccio raffigurante una giovane, una castellana che, secondo la leggenda, tradì la città nel passato.
L’ultimo giovedì di gennaio di oltre settecento anni fa, bussò a uno degli ingressi del borgo di Canturio facendosi consegnare con l’inganno le chiavi della città, così da poter aprire i pesanti battenti della porta ai Visconti che conquistarono il paese.
Un evento che la città ricorda ogni anno. Prima del falò si organizza un corteo con costumi storici: su un carro trascinato a mano viene caricata la Giubiana. Durante il corteo, viene letta una lettera della condanna.
Anche a Giussano la Giubiana, ha il suo corteo, solo che non è solo una, ma è penta. Sono infatti cinque Giubiane, una per ogni frazione del paese, portate nel corteo mascherato, alle quali verrà dato poi fuoco al termine della manifestazione.
A Canzo si tiene l’ultimo giovedì di gennaio, la celebrazione è molto curata e partecipata. E’ una rappresentazione che vede coinvolti un vasto numero di figuranti mascherati, snodandosi per le vie del centro, in cui la Giubiana, legata a un carro, viene portata prima in processione al ritmo dei tamburi fino alla piazza del mercato, dove avviene il processo che è tenuto rigorosamente in dialetto.
Celebrato da parte dei “Regiuu”, ovvero gli anziani autorevoli del paese, e altri personaggi simbolici. Una volta giudicata, sempre ovviamente colpevole, sono date le fiamme al fantoccio. Anche a Barzago, viene celebrata con un corteo e processo in piazza in dialetto, con a seguire il falò.
A Olginate, Varenna come a Mandello Lario, sono da sempre i bambini i protagonisti, con un corteo per le vie del centro, in cui battono tamburi, latte e tutto quello che server a fare un gran rumore, per scacciare via il freddo, prima di dare via al falò sulle spiagge.
Molto sentita ad Ardesio (Bergamo), in alta Val Seriana, dove il rito si chiama “Scasada del Zenerù”. Il 31 Gennaio, sin dai tempi antichi migliaia di partecipanti si uniscono per “scacciare” l’inverno, facendo un gran baccano con campanacci, latte e tutto ciò con cui si può far rumore, in un corteo per le vie del paese che segue il fantoccio.
Dopo averlo processato sulla pubblica piazza, lo si brucia. Lo stesso giorno a Olda in Valtaleggio (Bg), si ritrova la comunità della valle per “l’è fò génèr”.
Sempre la sera del 31 gennaio un po’ ovunque in Valtellina e nel Canton Ticino, si tengono manifestazioni simili, con lo stesso rito propiziatorio, ma con nomi diversi. Stessa cosa e stesso giorno anche nella parte fluviale d’Oltrepò, dove si accendono falò. Ad Arena Po, fino a qualche decennio fa, c’erano dei luoghi “fissi” per i roghi.
La frazione in cui il rito è ancora partecipato e collettivo è Montacuto, dove gli abitanti si ritrovano davanti ai fuochi.