Mozia 2 Antonia Bice Zia Rosina Marina Forte

Una delle archeologie più note del secondo Novecento italiano, grande studiosa dei Fenici e collaboratrice di Massimo Pallottino e Sabatino Moscati..

Antonia Ciasca nacque a Melfi, in provincia di Potenza,  il 21 maggio 1930 da Raffaele, noto storico e Senatore della Repubblica Italiana, e Carolina Rispoli, scrittrice e saggista.

Per i trasferimenti del padre, docente universitario, frequentò le scuole prima a Genova e poi a Roma, dove conseguì la maturità classica.

A Roma si laureò all’Università La Sapienza, dove divenne allieva di Massimo Pallottino e partecipò agli scavi del centro etrusco di Pyrgi, a Santa Severa dove, pochi anni dopo,  verranno ritrovate le lamine d’oro con l’iscrizione bilingue in etrusco e fenicio, primo legame che, unendo mondo etrusco e punico, avvicinò la Ciasca agli studi sui Fenici.

Divenne poi assistente di Sabatino Moscati, all’epoca docente di epigrafia semitica, e con lui si recò in Oriente, partecipando, nel 1959, alla missione archeologica a Ramat Rahel, in Israele.

Dal 1963, per sei anni, diresse gli scavi della prima missione archeologica italiana a Tas Silg, a Malta, dove identificò il santuario di Astarte, noto dalle fonti classiche come un luogo di culto in cui arrivavano fedeli da tutto il Mediterraneo.

L’anno successivo fu la direttrice della missione archeologica a Mozia, in provincia di Trapeni, sito al quale dedicò gran parte della sua attività lavorativa.

A Mozia Antonia avviò le sue ricerche da un luogo simbolo della civiltà fenicia e punica, il Tofet, luogo di sepoltura dei bambini e, secondo alcuni testi antichi, dove avvenivano i sacrifici al dio Baal Hammon.

Inoltre cominciò a scavare in modo sistematico l’abitato della città punica, avviando le prime scoperte sull’urbanistica dell’isola.

Archeologa molto metodica, la Ciasca pubblicava annualmente i resoconti preliminari delle ricerche sul terreno, padroneggiando il metodo stratigrafico in maniera encomiabile.

La sua dedizione al lavoro la portò, nel 1966, a 36 anni, ad assumere, prima in Italia, la nuova cattedra di Antichità Puniche all’Università La Sapienza.

Gli studi e le ricerche a Mozia spinsero la studiosa lucana a partecipare a scavi e ricerche in altri centri punici del Mediterraneo, per dare una più ampia visione della cultura punica che l’isola siciliana andava restituendo.

Nel 1975 Ciasca si recò a Tharros, in Sardegna, e negli anni ottanta in Algeria e Tunisia, a Cap Bon e Ras ed-Drek e infine nel 1998 riprese le ricerche a Tas Silg.

Antonia Ciasca concepiva la ricerca come un continuo lavoro di lima e cesello, come dimostrano le centinaia di stele e di urne rinvenute nel Tofet di Mozia, oggi conservate sull’isola presso il Museo Whitaker, gli imponenti tratti di mura e le torri scavate nel tratto nord-est della cinta difensiva della città.

L’archeologa mori a Roma il 1 marzo 2001 e a lei è dedicata un’aula nell’edificio della facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza.

Per volere della famiglia, l’intero patrimonio della studiosa venne donato al Dipartimento di Scienze dell’Antichità, dove costituisce il cosiddetto Fondo Ciasca, gestito direttamente dalla Missione Archeologica a Mozia dell’Università La Sapienza che continua brillantemente le ricerche di Antonia ancora oggi.