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A oggi, la letteratura disponibile sembrerebbe suggerire che i bambini si ammalino meno frequentemente di Covid-19, che abbiano meno possibilità di trasmetterla e soprattutto che si ammalino in forma più lieve rispetto agli adulti.

Quello che però non è ancora chiaro, e che per certi versi potrebbe rivelarsi allarmante, è quanto il long Covid sia frequente nei più piccoli, ovvero quanto – nei bambini che sviluppano l’infezione – i sintomi possano rivelarsi duraturi nel tempo.

Di fronte al grande numero di casi di infezione da SARS-CoV-2, infatti, il long Covid rappresenta un problema con conseguenze sanitarie potenzialmente enormi.

Se però si stanno facendo diversi studi sugli effetti di Covid-19 negli adulti (ne abbiamo parlato nella scheda Covid-19 potrebbe diventare una patologia cronica?), sul long Covid pediatrico si sa ancora poco.

Dottore, cosa dicono i risultati dei primi studi sul long Covid nei bambini?

Diversi ricercatori hanno fatto notare che i dati emergenti sul long Covid nei bambini non dovrebbero essere ignorati, considerata la mancanza di un vaccino contro Covid-19 per questa fascia di età. Hanno anche avvertito, però, che le prove raccolte e analizzate in modo sistematico su questi sintomi duraturi nei giovani sono fino a oggi molto incerte.

Uno dei primi studi sul long Covid nei bambini è stato condotto da una équipe del Policlinico Agostino Gemelli di Roma.

Sono stati presi in esame 129 piccoli pazienti con diagnosi confermata di Covid-19. Tra questi, a distanza di oltre 120 giorni dalla prima diagnosi, i dati hanno mostrato che:

  • Il 27,1% aveva almeno un sintomo
  • Il 20,6% aveva tre o più sintomi

I problemi più comuni erano dolori muscolari e/o articolari, cefalea, dolore toracico o sensazione di costrizione toracica, palpitazioni e disturbi del sonno [1].

In riferimento a questo studio, però, l’Istituto Superiore di Sanità ha fatto notare che si tratta di risultati preliminari e che è necessario condurre ulteriori ricerche. L’indagine, infatti, presenta diversi limiti: in primo luogo, il numero di bambini coinvolti è molto piccolo [2].

Nel Regno Unito l’Office for National Statistics – un’agenzia governativa britannica che raccoglie, analizza e pubblica informazioni statistiche sull’economia, la popolazione e la società nel Paese – ha recentemente pubblicato alcuni dati da cui emerge che riportano almeno un sintomo dopo 5 settimane dall’infezione da Covid-19:

  • Bambini di età inferiore a 11 anni: 13%
  • Ragazzi di età compresa tra i 12 e i 16 anni: 15%

Anche questo studio, però, presenta dei limiti: non è stato preso in considerazione, per fare un confronto, anche un gruppo di bambini che non aveva contratto Covid-19 (chiamato gruppo di controllo), e non si può non considerare che alcuni sintomi come febbre, tosse e raffreddore sono comuni durante l’infanzia, a prescindere dalla Covid-19 [3].

Essere preoccupati per i propri figli è normale, soprattutto perché ci si trova in una situazione nuova. E proprio per cercare supporto, in Inghilterra è nato il gruppo Long Covid Kids, che oggi include circa 1.700 famiglie con bambini che sembrerebbero soffrire di sintomi a lungo termine post Covid-19. In attesa che vengano condotti nuovi studi, però, è fondamentale non farsi condizionare dalle emozioni.

Dottore, quali altri studi si stanno conducendo?

I National Institutes of Health, un’agenzia del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti, hanno annunciato pochi giorni fa che si stanno coordinando con diversi ricercatori pediatrici per condurre un ampio studio su Covid-19 e bambini. Una componente importante dell’iniziativa consiste proprio nell’analisi dei sintomi che i più piccoli possono avere a lungo termine [4].

Anche in Italia si stanno conducendo ulteriori studi.

Dal 1° febbraio 2021 al Policlinico Umberto I di Roma è possibile prenotare una visita gratuita di controllo per bambini e ragazzi, fino al compimento del diciottesimo anno di età, che hanno avuto l’infezione da SARS-CoV-2 [5].

“Si sa ancora poco su quali siano gli effetti a distanza dell’infezione da SARS-CoV-2 nei bambini e questa incognita spaventa le famiglie. Vediamo arrivare in pronto soccorso bimbi con semplici raffreddori, mal di gola o febbre perché magari nei mesi precedenti hanno contratto Covid-19 e i genitori hanno paura che possa essere tutto collegato.

Anche da parte di pediatri del territorio ci arrivavano richieste di chiarimenti, e questa incertezza ci ha fatto capire che c’era la necessità di sostenere e prendere in carico i bambini e le loro famiglie”, ci spiega Fabio Midulla, responsabile della Pediatria d’urgenza del Policlinico Umberto I e presidente della Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili (SIMRI).

“Inizialmente è partito un follow-up respiratorio” continua Midulla, “perché la manifestazione clinica principale negli adulti è la polmonite interstiziale. Poi abbiamo pensato di verificare possibili danni anche a livello neurologico, psicologico e cardiocircolatorio.

Ha avuto un grandissimo riscontro, siamo stati sommersi da telefonate e abbiamo appuntamenti fino a novembre”.

I primi risultati, però, sono incoraggianti: “su circa 150 bambini, che avevano avuto Covid-19 almeno tre mesi prima, abbiamo appurato che dal punto di vista respiratorio non hanno grandi problemi.

Il problema principale è quello psicologico. Molti bambini e ragazzi che hanno avuto Covid-19, soprattutto quelli tra i 15 e i 17 anni, hanno problemi psicologici”.

“Sul long Covid pediatrico non si sa quasi nulla ed è importante quindi che i bambini che hanno avuto Covid-19 vengano controllati, seguiti, valutati. Per questo come società scientifica stiamo organizzando un follow-up in tutta Italia, già diversi centri italiani hanno aderito”, conclude Midulla.

Dottore, quindi l’impatto maggiore del Covid sui bambini si ha da un punto di vista psicologico?

Sicuramente alcuni dei bambini che hanno contratto la malattia possono aver avuto, e continuare ad avere, delle conseguenze psicologiche. Anche in questo caso, però, è difficile dire se sia una condizione che riguarda solo chi ha avuto Covid-19 o qualcosa che in questo periodo colpisce in generale molti bambini e ragazzi.

A causa dell’isolamento, della possibilità limitata di uscire di casa, di vedere gli amici o i nonni, tra i più piccoli molti hanno sofferto di disturbi del sonno, attacchi d’ansia e aumento dell’irritabilità durante il lockdown della scorsa primavera (noi ne abbiamo parlato nella scheda I bambini durante il lockdown provano inevitabilmente disagio e rabbia?, dove trovate anche diversi consigli su come passare il tempo in casa con i vostri figli).

La buona notizia è che molti studi condotti a livello internazionale sull’argomento dimostrano che se si interviene tempestivamente si riescono a ridurre le conseguenze dello stress prima che diventi debilitante. In questo senso la cosa migliore che possono fare i genitori è fornire un ambiente relazionale affettivamente sicuro e stabile [6].

Bibliografia

FONTE: Dottoremaèveroche